I sondaggi danno la fiducia nel governo in calo, ma un'ipotetica lista del professore sbaraglierebbe tutti con il 30 per cento dei voti. Mannheimer: "Non ha imboccato la via della crescita, ma la stima verso i partiti è bassa". I ministri Fornero e Riccardi giù del 4%
Il governo Monti e un ipotetico partito guidato dal premier perdono consensi. Lo dicono un’infilata di sondaggi degli ultimi sette giorni che non lasciano dubbi: l’indice di fiducia verso il governo tecnico, i suoi ministri e la strana maggioranza che li appoggia sta precipitando. Quanto è rapida e profonda la caduta lo testimonia l’ultima ricerca, quella di Ipr Marketing per Repubblica.it, che segnala una perdita secca di 4 punti in un mese. La fiducia verso Monti&co è precipitata dal 55 al 51%.
Il sondaggio è più generoso di altri che nei giorni scorsi hanno fornito previsioni ancora più fosche per tecnici. La Swg il 22 aprile indicava una discesa dal 47% al 45% in una sola settimana. Complice il rimbalzo dello spread, il nodo della riforma del lavoro che continua a non piacere agli italiani (67%) e un calo generale di appeal della politica dopo la tornata di scandali della Lega che pesa su tutti i partiti e sull’orientamento al voto.
Non a caso stravince il partito dell’astensione secondo tutti gli analisti. Emg per La7 indica che la maggioranza nel Paese la tiene proprio il partito del non voto: il 37% è orientato per l’astensione, il 3% voterebbe scheda bianca (totale 40%), il 15% è indeciso. A seguire, nelle risposte ai sondaggi, un ectoplasma di partito guidato proprio da Monti il cui gradimento personale resta comunque alto. Un sondaggio Cise-IlSole24Ore svela il friabilità del gradimento del governo e l’interesse verso una diversa formazione, stavolta politica, con Monti come premier. Sul primo fronte la maggioranza degli intervistati (il 56 per cento) non dà più un giudizio positivo sull’operato dell’attuale governo e non vorrebbe che questa esperienza si ripetesse dopo le prossime elezioni politiche tra un anno. Lascia per strada 4 punti di consenso proprio lui, Mario Monti.
Un intervistato su due tre giorni prima dell’insediamento accordava fiducia al neopremier. Un mese dopo il record con il 62% degli intervistati che si dicevano molto/abbastanza fiduciosi. Poi il rapido tracollo: il 23 aprile, quattro mesi dopo, si è tornati al dato inziale mentre è cresciuto di 6 punti (dal 34 al 42% in quattro mesi) il blocco di chi in Monti ha poca fiducia o nessuna. Anche il governo esce claudicante dai sondaggi. Il 12 dicembre il 54% degli intevistati era pro-governo tecnico, quattro mesi dopo solo il 45%. Cinque punti bruciati e il dato del dissenso che cresce dal 25 al 47% (+9). Nel borsino dei ministri calano le quotazioni di Anna Maria Cancellieri (Interni, -1%), Corrado Passera (Sviluppo Economico, -3%), Andrea Riccardi ed Elsa Fornero (Cooperazione Internazionale, Lavoro entrambi -4%).
Eppure quasi un elettore su tre fra quelli che sono intenzionati a votare per un partito voterebbe oggi per quello che sarà eventualmente guidato da Monti. Il 29,6% degli italiani lo voterebbe di corsa. Se ci fosse una lista simile il consenso dei partiti oggi in parlamento, a partire dalla “strana maggioranza” Pd-Pdl-Tp, sarebbe cannibalizzato all’istante, con il Pd schiacciato al 19,6% e il Pdl al 15,2. Ribaltando le cifre si può dire che a migrare verso questa fantomatica sigla Monti sarebbero in misura quasi uguale gli elettori dei tre partiti che attualmente appoggiano il governo: il 21,7 per cento degli elettori del Pd, il 23,4 del Pdl e il 26,2% dell’Udc. Quindi il partito “salva Italia” di Monti, questo potrebbe essere il nome, sarebbe di gran lunga il più grande partito nazionale dopo quello dell’astensione.
Perché crolla la fiducia in Monti? Renato Mannheimer non ha dubbi: “Monti paga lo scotto della politica del rigore la fatica che sta facendo a mettere in moto quella dell’equità e della crescita. Era difficile attendersi un risultato diverso, lo stesso Monti lo ha ammesso per primo. Quando si fanno tagli o riforme costose in termini di consenso poi il consenso lo si perde”. Ma come si spiega che il governo perde fiducia ma un italiano su tre voterebbe Monti? “Penso che il capitale di fiducia personale di Monti sia ancora molto alto e che questo sia in larga parte dovuto al crollo nella stima dei cittadini verso i partiti tradizionali investiti dagli scandali come la Lega Nord per le note vicende o per la loro scarsa propensione a mettere in discussione la prassi dei rimborsi elettorali”.
Insomma, a tenere in piedi Monti sarebbe la consapevolezza che gli altri (leader, partiti, coalizioni) sono peggio di lui. “Monti – spiega Antonio Noto di Irp Marketing – ha perso dall’insediamento fino al 12% di consensi e questo non dipende dal giudizio personale, tanto che ancora oggi un italiano su due gli accorda fiducia. Gli italiani però hanno capito che l’obiettivo di salvare l’Italia non è alla portata del governo. Che la strada è molto più lunga e difficile e che non c’è una misura risolutiva”. Poi, continua Noto, il premier “paga lo scotto della sfiducia generale verso i partiti. Il governo è sostenuto da una coalizione di partiti tradizionali che hanno perso credibilità per quello che hanno o non hanno fatto. Per questo chi si presenta con un’offerta elettorale nuova, come il Movimento 5 Stelle che ha raddoppiato i consensi in un anno, ha una presa di vantaggio notevole dalla situazione di sfiducia. E ancora per questo i partiti isituzionali Pd, Pdl e Lega sono in affannosa ricerca di una nuova veste per presentarsi con il vestito buono e una etichetta inedita alle urne”.
Ma la luna di miele tra gli italiani e Monti è finita davvero? “In un certo senso sì – dice Roberto Weber di Swg – Gli italiani avevano grandi aspettative nell’avvento dei tecnici, soprattutto sul pronto tamponamento di una crisi che spaventa la popolazione. Il 65% degli italiani è convinto che tra i familiari qualcuno perderà il posto di lavoro e sono abbastanza cinici da sapere che non è la flessibilità in uscita che occupa il dibattito da mesi a creare nuovi posti. La formula dei tecnici ha perso quel fascino da bacchetta magica che aveva all’inizio. Ogni volta che lo spread torna a salire cancella gli entusiasmi e sottrae consenso al governo“.