Dopo il ritiro di Rick Santorum, lo sfidante di gran lunga più credibile, è ormai certo che Mitt Romney sarà il candidato repubblicano alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Adesso l’attenzione si sposta sulla scelta dei ticket presidente-vicepresidente e sulle elezioni di novembre. Ma chi sarà il vincitore? Lo indicano i mercati predittivi. Che aiutano anche a rispondere a due domande: che effetti ha l’andamento dell’economia sul risultato elettorale? E che dire degli effetti del risultato elettorale sulle prospettive economiche future?
di Riccardo Puglisi* (lavoce.info)
Forse non c’è bisogno di scomodare il fortunato slogan di Bill Clinton del 1992 (“It’s the Economy, Stupid!”) per mettere in evidenza il legame a doppio filo che esiste tra variabili macroeconomiche – ad esempio la disoccupazione – e variabili politiche, e in particolare l’esito delle elezioni a livello nazionale.
Dall’economia alla politica
È verosimile che l’andamento dell’economia influenzi la probabilità che il governo in carica venga rieletto. In particolare, secondo il modello “pane e pace” (Bread and Peace) ideato da Douglas Hibbs, la percentuale di voti che negli Stati Uniti va al partito del presidente in carica è largamente spiegata dall’andamento del reddito reale disponibile pro capite durante i quattro anni dell’ultimo mandato e dal numero di soldati Usa uccisi in azioni militari, nell’ambito di una guerra iniziata dal (partito del) presidente in carica. (1)
Naturalmente, la maniera tradizionale di prevedere (non di spiegare) il risultato di una gara elettorale consiste nell’effettuare un sondaggio di opinione su un campione rappresentativo della popolazione. Una maniera alternativa, per cui specialmente negli Usa vi è un interesse solido e crescente, si basa sui cosiddetti “mercati predittivi” (prediction markets), cioè un meccanismo intermedio tra un sistema di scommesse e un mercato finanziario vero e proprio. Su questi mercati (ad esempio su Intrade o sugli Iowa Electronic Markets, Iem) si scambiano titoli che pagano un importo fisso di dieci dollari (ad esempio su Intrade) se un dato evento si realizza, e nulla in caso contrario. Il prezzo del titolo stesso rappresenta la probabilità che, secondo il mercato, l’evento sottostante si realizzi. Agli estremi, un prezzo di zero significa che l’evento è giudicato impossibile, mentre un prezzo di dieci significa che l’evento è certo.
A prescindere da movimenti speculativi del breve termine, i fautori dei mercati predittivi sostengono che le informazioni dovrebbero finire incorporate nel prezzo del titolo. Il meccanismo è il seguente: chi dispone di informazioni che gli suggeriscano che il prezzo attuale del titolo sia troppo basso rispetto alla probabilità attribuibile all’evento sulla base delle informazioni stesse troverà conveniente acquistare quel dato titolo, contribuendo così al rialzo della quotazione. Ebbene, già due settimane fa – ovvero prima degli esiti elettorali in Maryland, Wisconsin e nella città di Washington – il prezzo del titolo connesso all’evento “Romney candidato repubblicano alle presidenziali” era di 9,3 dollari, pari a una probabilità implicita del 93 per cento. Dopo le tre vittorie la probabilità è arrivata al 95 per cento. All’11 aprile (appena dopo il ritiro di Rick Santorum dalle primarie) siamo al 97,1 per cento. E che dire della vittoria di Obama alle presidenziali? Sempre su Intrade il titolo corrispondente vale al 18 aprile 6,08 dollari, a cui corrisponde una probabilità implicita del 60,8 per cento.
A conti fatti, una probabilità del 60 per cento è largamente superiore al fifty/fifty del lancio di una monetina – che non dà un vantaggio a nessuno dei due candidati – ma è certamente più bassa della probabilità che in media attribuiamo alla vittoria di Obama da questo lato dell’Atlantico.
(1) Si veda qui la pagina web curata da Douglas Hibbs e dedicata all’applicazione del modello “Bread and Peace” alle presidenziali del 2012.
* Riccardo Puglisi ha studiato all’Università di Pavia (dottorato in finanza pubblica) e alla LSE (PhD in economia). Dopo essere stato visiting lecturer al dipartimento di scienze politiche del Massachusetts Institute of Technology, attualmente è Marie Curie Fellow all’ECARES (Université Libre de Bruxelles). Si occupa principalmente di political economy, ed in particolare del ruolo politico dei mass media.