Il fidanzato della vittima dell'omicidio del 1990 è stato assolto in appello per non aver commesso il fatto. In primo grado era stato condannato a 24 anni di reclusione. Dopo la sentenza ha pianto e ha avuto un malore: "Da oggi ricomincio a vivere". La procura generale non esclude il ricorso in Cassazione
Raniero Busco è stato assolto dalla prima corte d’assise d’appello di Roma per non aver commesso il fatto. L’uomo era accusato di aver ucciso Simonetta Cesaroni, assassinata il 7 agosto del 1990 in via Poma, che all’epoca era la sua fidanzata. Decisiva per l’assoluzione la perizia disposta dai giudici in appello: il segno su un seno di Simonetta non sarebbe riconducibile ad un morso di Busco e sul reggiseno della ragazza oltre al Dna dell’ex fidanzato comparirebbero altri due Dna. La sentenza di primo grado l’aveva condannato a 24 anni di reclusione per omicidio. Busco dopo la sentenza è stato colpito da un lieve malore: è stato sorretto dal fratello e dalla moglie, poi ha pianto abbracciato ai familiari.”Da oggi ricomincio a vivere – ha dichiarato poi ai giornalisti – Quando è uscita la Corte, in un attimo, ho rivisto tutta la mia vita”.
“Siamo destabilizzati da questa sentenza – spiega Paola Cesaroni, la sorella di Simonetta – Cerchiamo di capire il perché è finita in questa maniera e non sappiamo darci alcuna risposta”. “Rispettiamo in maniera assoluta la decisione della Corte – ha aggiunto, riferendo anche il pensiero della madre Anna Di Giambattista – Ci aspettavamo che la perizia che hanno disposto potesse dare certezze. Non è stato così: il processo ha fatto emergere tanti dubbi e incertezze soprattutto sulla questione del morso sul seno di Simonetta. Proprio per questo, ci aspettavamo che la Corte accogliesse la richiesta di disporre una nuova perizia. Così non è stato e in noi resta il rammarico”.
”E’ una sentenza emessa dall’unico organo deputato ad emettere una pronuncia in appello. Va accettata e rispettata” commenta il procuratore generale, Alberto Cozzella. “All’esito del deposito delle motivazioni (la corte d’assise si è presa almeno 90 giorni, ndr) – ha aggiunto Cozzella – decideremo il da farsi. Non è escluso, anzi assolutamente probabile, che ricorreremo in Cassazione”.
I giudici presieduti da Mario Lucio D’Andria sono entrati in Camera di Consiglio poco dopo le 11. La riunione in camera di Consiglio è stata preceduta dalle repliche delle parti che, a sostegno delle rispettive tesi accusatorie e assolutorie hanno ripercorso le tappe fondamentali della vicenda esaminando punto per punto anche gli esiti peritali che da una parte portano a scagionare l’imputato e dall’altra come sostiene la Procura generale a confermare le responsabilità di Busco.
E si accende la polemica sul dna, diventato prova regina in questo processo. “L’assoluzione di Raniero Busco era attesa, perchè nel condannarlo non sono state tenute in considerazione tutte le prove ma si è data un’importanza esagerata al solo Dna” afferma il medico legale Angelo Fiori, uno dei periti all’epoca del delitto. “Questa sentenza sottolinea come non si possa usare solo il Dna nei processi, ma vadano prese in considerazione tutte le prove” afferma Fiori. “Già all’epoca – prosegue – era emerso che il sangue trovato sulla porta era incompatibile con il gruppo di Busco, e questo secondo me già bastava a non includerlo nei sospettati. Ci si è basati invece solo sul Dna trovata sul presunto morso sul seno, ma senza tenere conto del fatto che c’erano quelli di tre persone, e non solo di Busco”.
D’accordo con l’analisi anche Vincenzo Pascali, uno dei consulenti della Procura di Roma: “C’è stata una mancanza di lucidità nella valutazione delle prove – dice – la sentenza è dovuta al fatto che si sono considerate conclusive delle evidenze che invece non lo erano”.