La strage alla Pac di Milano del 1993 è destinata a restare nell'ombra: la corte d'appello di Brescia ha rigettato la richiesta dei legali di Tommaso Formoso, condannato all'ergastolo, ma "scagionato" dalle dichiarazioni dell'ex killer di Brancaccio. Ma le parole del pentito, che hanno riscritto i fatti di 19 anni fa, per i giudici non sono state sufficienti
Niente da fare: la strage di via Palestro è destinata a restare nell’ombra. Oggi la Corte d’appello di Brescia ha rigettato la richiesta di revisione della sentenza a carico di Tommaso Formoso condannato all’ergastolo per aver fatto da basista al commando di Cosa Nostra che a Milano agì il 27 luglio 1993. La richiesta di revisione del processo d’appello era stata formulata dai legali di Tommaso Formoso in base alle dichiarazioni rese da Gaspare Spatuzza, presente a Milano quattro giorni prima dell’esplosione, il 23 luglio, per preparare la bomba. Ma la vera notizia è che per i magistrati di Brescia Spatuzza non è credibile.
Spatuzza: “Tommaso Formoso non c’entra”. L’ex killer di Brancaccio sostiene di non avere mai conosciuto Formoso, ma sempre e solo il fratello Giovanni. L’impianto difensivo, forte di questa deposizione, si è basato su due punti decisivi: Tommaso Formoso non viene mai riconosciuto in foto dai pentiti (Spatuzza infatti parla solo del fratello), ma i giudici di Milano prendono per buona una semplice descrizione. E soprattutto almeno fino al 22 luglio (un giorno prima della consegna della bomba) si trova in Calabria per assistere la suocera ricoverata. Il vero artefice, stando ai verbali del pentito, è Giovanni Formoso che mette a disposizione la casa del fratello ad Arluno (alle porte di Milano). Con lui operano Cosimo Lo Nigro, i fratelli Tutino, Vittorio e Marcello (quest’ultimo mai indagato e citato per la prima volta da Spatuzza), Francesco Giuliano, Pietro Carra e lo stesso Spatuzza.
Il 23 luglio, infatti, il luogotenente dei Graviano è a Milano per sovraintendere la consegna della bomba e rubare l’auto che esploderà davanti al Padiglione d’Arte Contemporanea poco dopo le nove di sera causando la morte di cinque persone. Già davanti ai pm di Firenze, Spatuzza aveva sostenuto di non aver mai conosciuto Tommaso Formoso, ma appunto solo il fratello Giovanni. Particolare decisivo per la difesa, che il pentito ha ribadito davanti ai giudici di Brescia nella prima udienza per la revisione del processo.
I particolari inediti. Di più: Spatuzza ha messo nero su bianco particolari fino ad oggi inediti sulla preparazione della strage di via Palestro. A partire dalla costruzione delle bombe avvenuta, secondo la sua versione, nel cortile dell’appartamento di Tommaso Formoso ad Arluno e non nel famoso pulciao (casolare) di Caronno Pertusella, in provincia di Varese, (come recita la sentenza di condanna) di proprietà di un parente di Formoso. Inoltre viene riletta anche la modalità con cui ad Arluno fu prelevato l’esplosivo. Il tritolo fu portato dalla Sicilia al nord su un camion guidato da Carra.
La prima versione. Secondo una prima versione, raccontata dallo stesso Carra, arrivato nel comune lombardo verso le undici e trenta del 23 luglio fu raggiunto da una persona che la sentenza della Corte d’appello di milano individua in Tommaso Formoso. Questo significa che Formoso, il giorno prima in Calabria, ha percorso oltre mille chilometri, guidando di notte, per farsi trovare all’appuntamento con Carra. Lo stesso Carra che pero non sarà mai in grado di riconoscerlo in fotografia. Il pentito solo ne diede una descrizione giudicata compatibile dalla corte.
Secondo Spatuzza invece furono almeno quattro persone ad andare a prendere l’esplosivo. Ed esattamente Cosimo Lo Nigro (uomo di riferimento dei Graviano per le stragi di Roma e Milano), Giovanni Formoso, Marcello Tutino e Francesco Giuliano. Nessuna traccia di Tommaso Formoso.
Le parole di Spatuzza. Le parole di Spatuzza su via Palestro sono già state ritenute credibili dalla procura di Milano che nel 2009 ha aperto un fascicolo su Tutino, ultimo esecutore materiale che mancava all’appello. Su questo si è basata la richiesta di revisione degli avvocati di Formoso che ha puntato a una riscrittura dei fatti grazie all’introduzione di nuove fonti di prova (cioè le parole di Spatuzza).
Il pentito ha infatti spostato il luogo in cui fu realizzato l’ordigno per l’attentato. Secondo la prima versione fu il casolare di Caronno, la cui identificazione fu possibile grazie alle parole di un altro pentito che riferì frasi ascoltate il giorno della strage da uno dei componenti del commando: fu in quel frangente che si parlò di pulciao a proposito del luogo dove i mafiosi pernottarono e composero la bomba. Le parole di Spatuzza raccontano altro. Secondo il boss di Brancaccio la costruzione dell’ordigno avvenne nel cortile della villetta di Arluno. Dove, peraltro, all’epoca non furono trovate tracce di esplosivo (i rilievi avvennero solo nel garage).
Tutti elementi che tuttavia non riapriranno il processo. Se per i pm di Milano, infatti, Spatuzza è credibile, per i giudici di Brescia non lo è. Ora si attendono le motivazioni della corte. Quindi l’ultima carta della difesa sarà la Cassazione. Dopodiché i giochi si chiuderanno.