Opaca e reticente, questa la linea scelta da Monti per il suo Rapporto annuale sulle esportazioni d’armi per il 2011. Arrivato quasi un mese dopo la scadenza di legge (ma c’è solo il rapporto di sintesi sul sito del Governo, mentre la relazione al Parlamento non risulta ancora ufficialmente deposita), le oltre cento pagine del documento governativo sono un altro passo verso lo svuotamento sostanziale della legge 185 del 1990 che regola le esportazioni di armi e l’informazione al Parlamento sulle stesse. Qualsiasi residuo elemento di dettaglio non puramente statistico (dico residuo perché il processo di svuotamento delle relazioni è cominciato già nel 1998 ai tempi del governo di centro sinistra) si è dissolto nell’aria e sono rimasti solo un po’ di grafici colorati, forse in omaggio all’astrattezza delle ricerche a cui sono abituati i professori-ministri.

Dal rapporto sono sparite ad esempio due tabelle essenziali per capire a chi e cosa vendiamo: l’elenco dei materiali per Paese di destinazione e quello dei materiali dei programmi intergovernativi per Paese di destinazione. Così, se dal documento del 2010 firmato Berlusconi abbiamo potuto sapere che tipo di armi sono andate al Bahrein o allo Zambia, nulla sappiamo da Monti cosa e a chi abbiamo venduto nel 2011. Esemplare ad esempio la tabella 4 che riassume le esportazioni verso i Paesi extra Nato ed extra Ue, cioè i più “sensibili” politicamente: quasi metà delle barre colorate non hanno il nome del Paese a cui si riferiscono (ma immagino sia solo una svista del compilatore: i professori non ricorrerebbero a trucchetti così ingenui) e l’ultima, corrispondente a ben 145,24 milioni di euro di valore, raggruppa probabilmente tutto il resto. Dico “probabilmente” perché anche questa è anonima. Ma 145 milioni farebbero di questo o questi ignoti percettori delle nostre armi il quinto importatore in termini di valore. Non proprio disprezzabile. Eppure non sappiamo chi siano. Anche se tra questi ci potrebbero essere i contratti sponsorizzati da Lavitola in Centro America. Oppure dalla colombiana Debbie Castaneda. O da quel Palazzolo, alias Van Palace, mediatore di Finmeccanica in Africa australe.

Quanto alle cifre, nel 2011 le armi sono andate alla grande. Oltre 3 miliardi di euro di autorizzazioni all’esportazione (un aumento del 5,28% anno su anno) e 2,2 miliardi di autorizzazioni per i cosiddetti programmi intergovernativi, quasi sette volte di più del 2010 quando si attestarono ad “appena” 345 milioni. In tutto 5,3 miliardi di armi vendute. Con il contorno inevitabile di hostess, pranzi e valigette piene di contanti. Perché il traffico di armi è ancora oggi molto più vicino all’Alberto Sordi di “Finché c’è guerra v’è speranza” che ad un thriller dei salotti dell’alta finanza e quasi sempre un bel po’ di quelle mazzette di banconote (o sacchettini di diamanti: più maneggevoli e discreti) torna in Italia. Ma nelle mani sbagliate. Come sembra indicare la storia recente degli elicotteri venduti all’India con dieci milioni di commissioni finite non si sa dove. Insomma nulla di nuovo da quando, all’inizio degli anni 80, venne pagata la madre di tutte le tangenti: oltre 135 miliardi di lire per otto navi vendute all’Iraq. Navi che non vennero mai pagate né consegnate. Formalmente la tangente (definita per pudore “commissione”) venne persino autorizzata dal Governo. Ma negli anni successivi alcuni giudici sospettarono che una buona parte ritornò “a casa”. Per di più la Marina militare dovette ricomperare le quelle navi (diventate la classe “Soldati” della nostra flotta) dalla Fincantieri negli anni 90 per non farla fallire. Ma la tangente rimase a chi l’aveva intascata. Fin che la barca va…

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