Con la norma che annulla il beauty contest per l’assegnazione delle frequenze Tv e impone l’adozione di un’asta a titolo oneroso, per la prima volta un governo italiano cerca di mettere ordine nel sistema frequenziale. È un buon avvio anche se il successo dell’asta dipenderà da molti fattori. E tuttavia la questione richiede chiarezza e trasparenza. In particolare, sul pacchetto delle frequenze in banda 700 MHz, che dal 2015 saranno riservate ai servizi di larga banda mobile. Il meccanismo di attribuzione sembra troppo articolato e soprattutto produrrà scarsi introiti per lo Stato.

Nei giorni scorsi il Senato ha dato il via libera definitivo al decreto legge sulle semplificazioni fiscali, che contiene una norma che annulla l’ormai famoso “concorso di bellezza” (o beauty contest) per l’assegnazione delle frequenze Tv, imponendo invece l’adozione di meccanismi di asta a titolo oneroso.

Un po’ di ordine nel sistema

L’intervento del governo, oltre a abolire il beauty contest pensato dal precedente esecutivo, avrebbe come obiettivo quello di rendere più efficiente e valorizzare l’uso dello spettro radio italiano attraverso due principi di base: un’asta economica competitiva riservata agli operatori di rete, assicurando la separazione verticale tra fornitori di contenuti e operatori di rete; e la ridefinizione dei contributi economici per l’utilizzo delle frequenze.

È la prima volta che un governo italiano si prende la briga di mettere qualche ordine nel sistema televisivo e più in generale nel sistema frequenziale. Dopo anni di dibattito e governi sostanzialmente sordi sul tema, si osserva ora un primo importante tentativo di riorganizzare l’uso di una risorsa che è e sarà essenziale nei prossimi anni per lo sviluppo non solo del mercato televisivo, ma anche della larga banda (mobile in questo caso), un fattore riconosciuto come essenziale per la crescita economica di un paese e ancora deficitario in Italia.

Il ministero per lo Sviluppo economico avrà ora 120 giorni per definire il bando della prima asta che verrà redatto dall’Autorità settoriale, l’Agcom. Il suo successo dipenderà però da come l’asta sarà progettata, e in particolare dalla divisione in lotti delle frequenze da mettere a gara, dai tempi di assegnazione e dalla possibilità di intervento da parte degli operatori Tlc.

Per quanto riguarda i lotti, ci sono delle frequenze che verranno assegnate ai broadcaster, ma per rendere il mercato più aperto si prevede che solo operatori di rete – non integrati verticalmente nell’erogazione dei contenuti – possano partecipare alla gara. L’obiettivo è di spingere verso l’ingresso di gestori di infrastrutture Tv del tutto nuovi in Italia – ma che operano da anni in altri paesi come la Spagna, la Francia e la Gran Bretagna – che poi cedano capacità produttiva ai singoli erogatori di contenuto in modo neutrale. Su questo punto, la decisione del governo ci trova sostanzialmente d’accordo, anche se non si comprende bene perché si debba limitare la gara ai soli broadcaster, visto che i gestori potranno poi cedere capacità a prescindere dall’utilizzo. La neutralità prevede che gli operatori mobili dovrebbero poter partecipare alla gara: starà poi a loro decidere se prendervi parte o meno, in base alle caratteristiche delle frequenze in palio.

 Ombre sulla banda larga

Più delicata invece è la questione per il pacchetto relativo alle frequenze in banda 700 MHz. Queste frequenze sono pregiatissime e, come richiesto dalla Commissione europea e dalla conferenza mondiale di Ginevra 2012 nell’ambito dello sviluppo dell’agenda digitale, a partire dal 2015 dovranno essere assegnate ai servizi di larga banda mobile. Il governo sembra prevedere un’asta per l’assegnazione ai soli operatori Tv di queste frequenze per tre anni, per poi liberarle e rimetterle all’asta per operatori Tlc.

Crediamo che questa soluzione presenti una serie di problemi: assegnare ora una risorsa per soli tre anni porterebbe chiaramente i vari operatori Tv a presentare rilanci modesti per frequenze invece che hanno un considerevole valore economico; ritarda l’adozione tecnologica della banda larga mobile e introduce il problema – a partire dal 2015 – di liberare nuovamente queste frequenze per riassegnarle. Il meccanismo ci sembra complesso e troppo articolato e soprattutto portatore di scarsi introiti per lo Stato. Non è neppur detto che tra tre anni si proceda effettivamente a una nuova asta: i governi cambiano. Perché il governo Monti rimanda al futuro una decisione così importante? Crediamo che sarebbe meglio aprire subito l’asta per questo specifico pacchetto anche agli operatori mobili e non limitarla agli operatori Tv. In questo modo, l’asta non sarà al ribasso perché vi parteciperanno anche operatori che valutano di più lo spettro, rispetto a quanto sembrano fare (e dichiarare) i broadcaster televisivi. Non va dimenticato che gli operatori televisivi già possiedono numerose frequenze, per cui non esiste il fantasma, sventolato da qualcuno, dell’interruzione del servizio Tv. Quello che chiediamo è che il governo si impegni, subito, a eliminare ogni distinzione e discriminazione tra broadcaster (integrati o meno) e altri operatori. Questo passaggio fondamentale ha in sé la possibilità di un più rapido passaggio alla larga banda mobile, permettendo al nostro paese altresì di raggiungere prima gli obiettivi dell’agenda digitale.

Ulteriore confusione si è recentemente sollevata sull’approvazione di una norma che permette la destinazione d’uso di frequenze riservate nel passato alla tecnologia mobile (ossia per la Tv su cellulare tramite lo standard DVB-H) per trasmettere programmi televisivi su digitale terrestre (DVB-T). La norma approvata recepisce una direttiva comunitaria che si basa ancora una volta sul principio di neutralità tecnologica, e quindi quando una frequenza diviene sottoutilizzata per una specifica destinazione d’uso si può “riconvertirla” a un altro. Sul principio di neutralità siamo d’accordo: è inutile lasciare una risorsa importante inutilizzata perché il servizio non viene consumato. Ma molti punti rimangono assai ambigui e ci sembrano passati totalmente sotto silenzio: ad esempio, per queste frequenze si impone il pagamento di canoni di utilizzo? Oppure sono date gratuitamente? E in tal caso, gli operatori Tv potranno poi rivenderle privatamente? Oppure si prevede la conversione d’uso a titolo temporaneo (ma quanto temporaneo?) per poi farle rientrare in possesso dello Stato, il quale potrà in seguito rimetterle all’asta?

La discussione sullo spettro ci pare ben avviata, ma presenta ancora criticità e punti oscuri che speriamo il governo possa gestire con maggiore trasparenza e chiarezza. Nel nostro paese c’è davvero bisogno non solo di una spending review, ma anche di una spectrum review seria e efficace.

di Carlo Cambini e Tommaso Valletti

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