Costi alti, pochi benefici (anche al confronto con altre banche centrali): un sicuro segnale d’inefficienza. Che fare?
La Bce potrebbe risolvere la situazione, azzerare gli spread (non solo ridurli) spendendo 50 cent. È il costo dell’inchiostro di un comunicato stampa che annuncia la garanzia della Bce sui titoli pubblici. La Bce è l’unica al mondo in grado di offrire tale garanzia, eliminando alla radice il “rischio di default” e gli spread che ne derivano.
Alcuni dettagli tecnici (saltate pure). Ad essere garantiti sarebbero solo i titoli
Per maggiore sua tutela, la Bce potrebbe annunciare che: solo fra sei mesi offrirà la sua garanzia ai titoli emessi oggi, solo se il paese realizzerà nel frattempo le manovre concordate. Se i risparmiatori vedranno che le manovre si fanno, anticiperanno l’arrivo della garanzia, e gli spread crolleranno subito.
Nel caso peggiore, ed inverosimile, in cui la Bce garantisse i titoli emessi da tutti i Piigs nel 2012-2015, e poi fosse costretta a onorare tutte le garanzie offerte (i Piigs facessero default su tutti i titoli garantiti per almeno il 20% delle somme dovute), il costo per la Bce sarebbe di circa 250 mld. Molto meno dei costi attuali, in cambio di benefici enormemente superiori: risolutivi.
Grazie a questa manovra di quasi azzeramento degli spread, il rapporto debito/Pil, ad es. in Italia, comincerebbe a scendere senza altre manovre. L’economia si rinfrancherebbe, generando maggiori entrate fiscali, rinforzando il circolo virtuoso. Inoltre la Bce (e le banche: tedesche, francesi, ecc.) farebbe profitti stellari con la rivalutazione dei titoli Piigs in portafoglio. A tutto beneficio dei suoi azionisti: Germania in testa. La crisi – finanziaria – sarebbe risolta.
Le altre banche centrali non hanno bisogno di fare comunicati stampa. Nei paesi che conservano la sovranità monetaria è scontato che le banche centrali non tollereranno mai un default dello Stato. Per questo lì la crisi degli spread non è mai nata, anche in condizioni fiscali peggiori delle nostre (Fig.2). La Bce invece ha detto e ripetuto che in caso di default non sarebbe intervenuta. Ha minato la fiducia: deve recuperare il terreno perduto. Perché non lo fanno? Perché non vogliono farlo. Quest’analisi sarà oggetto del mio prossimo post.
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I neo Hooveriani vi diranno che – per una sequela di astrusi pretesti teorici, politici, legali – tutto ciò non si può fare: i soldi alle banche bisogna continuare a darli. Ma allo stesso tempo, dicono di voler limitare la quantità di moneta: intendono quella in mano alla gente; quella che potrebbe rilanciare l’economia.
Analizzano la moneta M dal solo lato dell’offerta (la quantità di M immessa). Dietro alle loro analisi c’è un’ipotesi nascosta: la stabilità della domanda di moneta (la quantità di M necessaria all’economia per funzionare bene). Se la quantità di moneta “giusta” non varia, un aumento dell’offerta di M non può che causare un eccesso di domanda di beni e servizi, oltre le capacità produttive, provocando inflazione, iper-inflazione. Citeranno Weimar, lo Zimbabwe! Attribuiranno ai loro interlocutori l’intenzione di stampare moneta all’infinito.
Ma se invece la domanda di liquidità (M) fosse fortemente aumentata, dall’esplosione della crisi del 2008 in poi? In tal caso, laddove l’offerta di M non si fosse adeguata, questa sarebbe una politica destabilizzante nel senso contrario: provocherebbe crisi finanziarie, depressione della domanda (consumi) e recessione. Qual è la verità sulla moneta?
Domandatevi: i problemi delle famiglie, delle imprese, dello Stato, sono causati dall’inflazione o dalla recessione?