Il popolo di uno Stato è responsabile delle azioni del governo che ha eletto. Così è stato per i tedeschi con il nazismo e per gli italiani con il fascismo. Lo stesso vale per Israele. È un’equazione che promette di sollevare nugoli di polemiche quella messa in riga da Enrico Mentana, chiamato a dibattere di “Questioni ebraiche” alla Festa del Libro ebraico in Italia in corso a Ferrara.
Polemiche facili da prevedere vuoi per l’accostamento, certamente audace, vuoi per il luogo e la platea in cui si insinuano. Siamo al primo giorno della manifestazione voluta dal Meis, il museo italiano dell’ebraismo e della Shoah. Il pubblico, assiepato nel Cortile d’Onore del Castello Estense, è venuto ad ascoltare, oltre al direttore del tg de La7, personalità di primo rilievo del mondo israelita in Italia. Sul palco il direttore di “Pagine Ebraiche” Guido Vitale intervista il giornalista del Corriere della Sera Stefano Jesurum e il presidente della Fondazione Meis Riccardo Calimani, padrone di casa. Con loro l’editorialista del “Corriere” Sergio Romano.
La ribalta è di tutto rispetto e gli ospiti non si scompongono quando Mentana rompe il ghiaccio sul tema delle politiche dello stato di Israele: “Israele è una democrazia, non è espressione di un governo golpista, per questo non assolvo la sua popolazione, come non assolvo la popolazione italiana durante il fascismo”.
Il giornalista televisivo si accoda, e va oltre, in questo modo alle critiche piovute negli ultimi tempi al governo Netanyahu. Critiche per lo più “interne” (dall’ex numero uno del Mossad Meir Dagan all’ex capo di stato maggiore Gaby Ashkenazi, all’ex vertice dell’intelligence militare Amos Yadlin fino all’ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale, Uzi Arad), rivolte alla gestione della convivenza con il popolo arabo da un lato e alla crisi con l’Iran dall’altro.
Prima di Mentana era stato Calimani a voler distinguere le responsabilità di Stato, governo e popolo: “E’ il governo a fare degli errori, non lo Stato e nemmeno il popolo, che è sempre vittima di situazioni tragiche”.
Da qui la similitudine del giornalista: “la storia degli stati non ha un andamento rettilineo, esistono le evoluzioni, i cambiamenti: basti pensare a come sessant’anni dopo il risorgimento in Italia è salito al potere Mussolini”. Così come non assolve il popolo italiano dalle colpe del Ventennio, il direttore del tg La7 non “perdona” nemmeno quello ebraico dalla controversa politica messa in atto per proteggere i propri confini. E va oltre, azzardando un paragone in odore di tabu: “in Italia il fascismo non fu questione di pochi avanguardisti, ci fu un’adesione amplissima; così in Germania fu grande l’entusiasmo attorno al sogno hitleriano”.
Quasi sulla stessa linea d’onda Romano, che ricorda come “l’insediamento dei coloni nei territori occupati è un fenomeno che non è mai cessato”. Per l’ex ambasciatore “Israele è una democrazia come lo era la Gran Bretagna ai tempi delle colonie. Il sionismo laico si serve del sionismo religioso per raggiungere obiettivi geopolitici, quanto a lungo potrà continuare questa contraddizione?”.
Nemmeno il tempo per consentire a Jesurum di riportare il barometro su mare calmo (“Israele è uno stato democratico, e non teocratico. Oggi Israele non è uno stato sionista, è uno stato e basta”), che Mentana torna alla carica.
“Serve un’analisi più lucida – prosegue il mezzobusto televisivo -, altrimenti ci si racconta una storia non vera”. Con il rischio inoltre, lascia intendere, di rinfocolare sentimenti antisionisti. “L’adesione di molte comunità ebraiche alla politica di Israele è monocorde – conclude Mentana -, ma la libertà di espressione, matrice fondamentale della cultura ebraica, dovrebbe spingere nella direzione opposta. Proprio perché Israele è un tema che fa battere il cuore, oltre che il cervello, bisognerebbe essere ancora più critici, come lo si è con chi è davvero amico”.