Il 26 aprile la Commissione Giustizia della Camera ha approvato all’unanimità la contro-contro-riforma del falso in bilancio.
Nel 2002 B&C l’avevano ammazzato, trasformando in legge le tesi giuridiche che l’avv. Ghedini, difensore di B., sosteneva nei processi a carico del suo illustre cliente. Respinto con perdite dai giudici, poiché la “modica quantità” era prevista dalla legge solo per il possesso di droga ma non per le poste false dei bilanci, l’avvocato-parlamentare fece un copia-incolla della sua requisitoria e la fece approvare da un Parlamento in cui i C di B. non solo non si vergognavano di avere un presidente del Consiglio ufficialmente delinquente (le “assoluzioni” per prescrizione significano che non ci sono prove di innocenza, ma il tempo trascorso è troppo) ma erano ben lieti di prepararsi uno scudo robusto per le loro personali malefatte. E che lo scudo funzionasse si vide quando B. fu prosciolto nel processo Sme perché il relativo falso in bilancio “non era più previsto dalla legge come reato”, essendo la posta falsificata “modica” perché inferiore all’1 per 1000 del patrimonio netto della società.
Giacché c’era, Ghedini si mangiò tutta la torta. Non solo la “modica quantità (per dire: Media-set, con un patrimonio netto di 3,5 miliardi di euro potrebbe lecitamente falsificare i bilanci per 3,5 milioni). Ci mise anche la procedibilità a querela; il che voleva dire che i falsificatori che si erano goduti i risultati del falso in bilancio avrebbero dovuto proporre querela contro se stessi. Tutto qui? Eh no; la pena (sempre che fosse stata superata la soglia della punibilità e fosse stata presentata querela) scendeva a 3 anni (4 per le società quotate), Così, oltre alla matematica certezza di non finire in prigione, dopo 7 anni e mezzo si prescriveva tutto. Insomma una mattanza; e i processi per falso in bilancio diventarono archeologia.
Nell’ottobre 2008 l’Italia dei Valori presentò un disegno di legge: sostanzialmente si buttava nel cestino il figlioletto di Ghedini e si ritornava al collaudato falso in bilancio ante B. Niente querela, pena fino a 5 anni (6 per le società quotate), niente modica quantità del falso. Poteva una cosa del genere essere approvata da B&C? Così tutto restò negli archivi. Ma oggi quel disegno di legge viene ripescato e la Commissione Giustizia della Camera l’approva. Formalmente all’unanimità. In realtà il Pdl “non ha partecipato al voto”. Forse si vergognavano. O forse stanno preparano qualche imboscata per il 28 maggio, quando la legge sarà discussa in aula: chissà quanti sentono tintinnar di manette. La domanda però è: come mai? Come mai gli eredi del governo Prodi che avevano tuonato contro le leggi vergogna, che avevano promesso di abrogarle tutte quando fossero stati al governo e che in 722 giorni, dal 17 maggio 2006 al 7 maggio 2008, nulla fecero, oggi si sono svegliati?
Ancora una volta la risposta è: i soldi. Siamo in bancarotta, sotterrati dalle tasse e la ripresa stenta; bisogna che le imprese ripartano, che gli investitori abbiano fiducia. E come si fa ad avere fiducia in gente che falsifica i bilanci e quindi truffa lo Stato (evasione fiscale), i soci (niente dividendi), i creditori e i risparmiatori (che investono credendo ai bilanci falsi e si trovano con un pugno di mosche in mano)? Semplice: mettendo in prigione i disonesti.
Ecco perché un governo i cui componenti non hanno conflitti di interessi né la necessità di commissionare leggi ad avvocati difensori per evitare la prigione, potrebbe riscoprire antiche saggezze: “Questi fatti si presentano come gravemente lesivi dell’economia pubblica in quanto, facendo venir meno la fiducia del Paese sull’attività delle società commerciali, scuotono uno dei cardini fondamentali su cui poggia la struttura economica del paese”. Così diceva la relazione al codice civile del 1930, quando per la verità, il falso in bilancio era punito da 3 a 10 anni. Presidente Monti, che ne dice di un emendamento del governo?
Il Fatto Quotidiano, 29 Aprile 2012