Vi è una differenza profonda tra i due concetti di forza e coraggio, che a ben vedere potrebbe leggere la condizione sociale italiana e spiegarci molte cose. E’ un tema che abbiamo affrontato a Zurigo quando io ed il mio collega svizzero René Scheu abbiamo pubblicato un saggio “su Berlusconi”. Oggi Scheu dirige la più antica e prestigiosa rivista elvetica Schweizer Monat, simile alla italiana MicroMega.
La differenza tra forza e coraggio traspare dalla comparazione delle due società, quella italiana e quella svizzera negli ultimi tempi. L’analisi parte dalla scelta del nome della forza politica italiana che ha caratterizzato l’andamento socio economico del Paese per quasi un ventennio: Forza Italia. Vista dall’estero, la parola Forza richiama l’idea muscolare di potenza. La forza è quella di un organismo che ha muscoli, resistenza, potenza ma non deve essere necessariamente dotata di intelligenza, visione o capacità di adattamento alle diverse circostanze che si presentano (definizione svizzera dell’intelligenza – Piaget).
In questi anni la Forza è stata rappresentata da una certa cultura americana che più volte ha dimostrato di essere forte e di poter intervenire ovunque nel pianeta mostrando i propri muscoli. L’Italia ha per lungo tempo dimostrato di voler essere forte, di avere la potenza e di mostrare con prepotenza una certa superiorità. In pochi ci hanno creduto, perché spesso e soprattutto sul piano politico il nostro Paese è apparso grottesco e molto debole. La situazione odierna non può che confermarcelo. La forza è fisica, o c’è, e si vede subito, o non c’è. Non puoi simularla, come ha cercato di fare qualche nostro leader sprovveduto. La forza dei media controllati, quella della cultura dei furbi, dei prepotenti e dell’impunità alla fine si dimostra molto debole e vile al cospetto dei contesti globali. Generalmente i forti sono tali con i deboli e deboli con i forti; forti sono le banche e le multinazionali, i manager rigonfi di bonus, i tecnici al servizio dei forti ed i politici al servizio dell’economia.
Il coraggio è altro. Attiene al cuore e all’intelligenza, all’anima di un popolo fatto di persone che fondano la propria identità su di esso. Il simbolo degli svizzeri, non a caso è Guglielmo Tell, ovvero colui che ebbe il coraggio di scagliare una freccia sulla mela posta sulla testa del proprio figlio. Un’ azione che nulla ha a che fare con la forza, ma con il coraggio espresso all’ennesima potenza. Il valore fondamentale del popolo elvetico è “la neutralità”; ci vuole molto coraggio per ribadire la propria estraneità a qualsiasi conflitto e porsi al servizio di tutti con la propria istituzione rappresentativa “la Croce Rossa”. Ha avuto il coraggio di restare fuori dall’Europa, mettendosi al riparo da ciò che oggi avviene, per tutelare i propri istituti fondamentali: neutralità, democrazia referendaria, sistema federalista e fiscale. Noi li credevamo pazzi, confondendo la pazzia con il coraggio.
E simbolo del coraggio intraprendente è René Scheu, giovane giornalista e filosofo nonché importatore di vino italiano prodotto soltanto da imprenditori al di sotto dei 40 anni. Ha inventato un sistema geniale: retribuisce filosofi e giornalisti che scrivono sulla sua rivista con vino di alto prestigio. Anche a me è capitato, per alcune interviste e articoli scritti per i giornali che dirigeva, di guadagnarmi delle indimenticabili bottiglie di annata di vino francese o italiano. Ricordo che Di Pietro valeva almeno 6 bottiglie di Chateneauneuf du Pape del ’99, mentre Santoro lo scambiavo con dell’ottimo Amarone italiano. René, ha conquistato Vattimo ed Agamben per la sua preparazione, ma anche per il suo perfetto bilinguismo. Ha abitudini strane, legge sugli alberi della sua casa stracolma di almeno 1500 volumi in diverse lingue. Ha scritto un volume sul “pensiero debole” sul suo amico filosofo Rovatti con il quale spesso abbiamo intrattenuto memorabili serate in Svizzera all’insegna del gioco e del dialogo col vino rosso. Ha 36 anni e già dirige una delle più prestigiose riviste e case editrici elvetiche e mi ha convinto che forte è il pensiero tecnico e coraggioso quello “debole” in un mondo nel quale la forza della tecnica soggioga il coraggio della filosofia.
Ama l’Italia più di un italiano e come può si rifugia in Friuli nelle masserie e nelle cantine di giovani imprenditori italiani che fanno a gara per esportare il loro vino a Zurigo. Il coraggio svizzero di René l’ho misurato quando rinunciò alla direzione di un quotidiano della catena NZZ per accettare l’incarico di riprogettare il mensile Schweizer Monat. Lui ebbe il coraggio di crederci e di credere in se stesso. Ci vuole testa, anima e cuore per scalare una montagna, per resistere al freddo, per camminare ore e ore, per lavorare notte e giorno senza sosta e con precisione. Questo è l’asso nella manica di molti giovani svizzeri cresciuti nei valori del rispetto della terra (ogni metro quadrato di pascolo vale 1 franco, e se lo curi produce buon latte), del popolo (alla fine decide con un referendum su ciò che è complesso), e sulla organizzazione federale delle istituzioni (la diversità di ognuno come ricchezza, la concordanza come decisione finale).
Nulla dunque che richiami la forza muscolare, ma un coraggio che garantisca una forza intelligente. A ben vedere possiamo paragonare questa differenza alla differenza tra greci e romani, tra Polis ed impero/dominio. La Svizzera è un piccolo paese coraggioso e pieno di incongruenze, perché ospite delle più grandi multinazionali giunte in quel territorio grazie al segreto bancario, alla neutralità e all’efficienza fiscale, con un’anima democratica fondata sul patto della Concordanza. Ma un meccanismo che funziona bene per una Comunità di 7 milioni di abitanti, può diventare la prassi per società di milioni di abitanti? Su questo ci si interroga spesso e con René abbiamo passato nottate davanti a un buon vino rosso. Riuscendo ad ottenere solo una buona risposta: il coraggio è degli uomini, la mera forza è delle bestie.