Il modo migliore per comprendere l’importanza della recente iniziativa assunta dalle Nazioni Unite nei confronti del Governo e del Parlamento italiani e, ad un tempo, la gravità della situazione che deve aver indotto l‘alto rappresentante ONU a scrivere alla Farnesina è scorrere il lungo elenco di Paesi e vicende, in relazione ai quali, sin qui, i “caschi blu della libertà di informazione” sono intervenuti.
Un elenco nel quale compaiono i problemi legati all’abuso di azioni per diffamazione in Colombia, l’assenza di pluralismo dell’informazione in occasione delle recenti elezioni in Senegal, l’abuso della disciplina etiope anti-terrorismo per limitare la libertà di informazione, l’assenza di libertà di parola per minoranze e dissidenti in Israele, la legge sulla lesa maestà che minaccia la libertà di informazione in Thailandia oltre a decine di altre analoghe questioni in altrettanti Paesi, non esattamente in cima alle classifiche internazionali sulla libertà di manifestazione del pensiero come Pakistan, Ungheria o Algeria.
Al lungo elenco di Paesi con un così alto deficit in termini di libertà di informazione da richiedere un intervento delle Nazioni Unite, ora si aggiunge anche l’Italia che sta procedendo – e questa volta a dirlo è un osservatore internazionale super partes e non un qualsiasi estremista anti-governativo – alle nomine dei membri della nuova Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e del suo Presidente, come se si trattasse di un fatto privato, di una questione da affrontare in un ristretto circolo di amici e compagni di merenda.
Niente consultazioni pubbliche con gli stakeholders e la società civile, niente pubblicazione dei curricula dei candidati come pure richiesto da centinaia di migliaia di cittadini attraverso una formale istanza di accesso indirizzata al Premier, Mario Monti, niente di niente, solo calcoli e lottizzazioni segreti, qualche indiscrezione e tante smentite.
Chi è perché non vuole rendere trasparente il processo di nomina dei membri di un’Autorità che dovrebbe essere indipendente e giocare un ruolo centrale e decisivo nel futuro dei media, dell’informazione e della democrazia nel nostro Paese? Cosa ha da nascondere il Governo dei Professori in relazione alla nomina del Presidente della nuova Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni? Ed i partiti? Perché i nomi dei candidati che voteranno non sono già pubblicati sui loro siti internet completi dei relativi curricula e di una dichiarazione che escluda che ci si trovi in una condizione di conflitto di interessi?
La brutta sensazione è, sfortunatamente, che, anche in questa occasione – come, sempre, sin qui, in passato – il segreto faccia comodo a tutti o, almeno, a quelli che –a torto o a ragione – nella nomenklatura di Palazzo contano di più.
Ed ora? Cosa risponderanno il Presidente del Consiglio, Mario Monti ed il Ministro degli esteri alle Nazioni Unite che hanno chiesto di invitare un osservatore internazionale per verificare che alle nomine della nuova Authority si proceda in modo trasparente? Faranno finta di niente? Negheranno l’esistenza di un problema? Faranno professione di trasparenza?
Le Nazioni Unite intervengono laddove registrano situazioni di preoccupazione e/o allarme in relazione a possibili violazioni dei diritti dell’uomo, cristallizzati nella Dichiarazione Universale del 1948.
L’art. 19 della Dichiarazione prevede che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”.
Possibile che nel 2012, un Governo ed un Parlamento cui spetterebbe il compito di traghettare il Paese fuori dalla crisi e garantirgli un futuro, non siano capaci di assicurare un diritto fondamentale dell’uomo cui si ispira la comunità internazionale da oltre sessant’anni?