Tagliare la spesa pubblica non è poi così semplice. Perché gran parte va in interessi, pensioni e stipendi, capitoli sui quali i vari governi sono già intervenuti. Ridurre i bilanci di sanità, scuola, giustizia e altri servizi richiederebbe una revisione del confine pubblico-privato. Gli interventi possono essere solo strutturali con risparmi nel lungo periodo. Positiva allora la formazione della task force ministeriale perché mostra la volontà politica di agire davvero. Ma su questo tema fondamentale, il governo dei tecnici poteva sfruttare meglio il poco tempo a sua disposizione.
Il governo ha finalmente scoperto le carte sulla revisione della spesa, con la presentazione al Consiglio dei ministri del rapporto preparato dal ministro competente (Piero Giarda), l’emanazione di una direttiva da parte del presidente del Consiglio che impegna i ministeri di spesa a presentare programmi di risparmi entro il 31 maggio e la formazione di una task force ministeriale, presieduta dallo stesso Mario Monti. Obiettivo immediato della spending review sono risparmi strutturali per 4 miliardi di euro da qui alla fine dell’anno (7,2 a regime), allo scopo di evitare il già deliberato aumento di due punti di Iva in autunno.
Se questi sono gli obiettivi immediati, il governo se ne propone chiaramente anche altri più ambiziosi, come mostra la nomina di Enrico Bondi a commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi (una partita che vale da sola 136 miliardi), la nomina di Francesco Giavazzi quale consulente per il governo sui trasferimenti alle imprese e di Giuliano Amato per i trasferimenti a partiti politici e sindacati.
I problemi della spesa
Che giudizio dare su questi interventi? È troppo, è troppo poco? Qualche appunto per inquadrare meglio gli interventi proposti e il dibattito che li circonda.
1. Criticare e commentare è il sale della democrazia. Ma fa oggettivamente specie che a discutere delle proposte del governo siano chiamati dai media gli stessi personaggi politici che hanno gestito la finanza pubblica italiana negli ultimi quindici anni, lasciando che la spesa pubblica salisse a un livello incompatibile con la situazione economica. Dovrebbero avere almeno la decenza del silenzio.
2. Nella percezione dell’opinione pubblica, tagliare la spesa è facile; da qualche parte nel bilancio pubblico ci sono enormi sprechi che sono facilmente eliminabili con un tratto di penna. Non ci sono. L’anomalia italiana è rappresentata da un eccesso di spesa per pensioni (232 miliardi) e interessi (70 miliardi), che assieme costituiscono il 43 per cento dell’intera spesa corrente. Tolti questi, in rapporto al Pil, in realtà spendiamo meno Cdi quasi tutti i paesi dell’Ocse per i servizi pubblici fondamentali: sanità, istruzione, giustizia, ordine pubblico, difesa. La spesa in conto capitale, poco più di 50 miliardi, è al minimo storico. Anche il numero di impiegati pubblici sul totale della popolazione lavorativa è inferiore alla media dei paesi Ocse (14,3% contro 14,6%). Il problema vero è che si spende male, non che si spende troppo.
3. Su pensioni e stipendi, cioè su oltre di 350 miliardi di spesa, il governo attuale è già intervenuto con la riforma di dicembre, e l’esecutivo precedente con il blocco delle retribuzioni pubbliche. A meno che non si decida di ridurre le pensioni e le retribuzioni in essere, oppure di licenziare i dipendenti pubblici, su queste voci di spesa, che da sole ammontano a circa la metà del totale, non si può fare di più.
4. Intervenire sulla spesa per sanità, scuola, giustizia e altri servizi pubblici è certamente possibile, nonostante che la nostra spesa per questi comparti sia già inferiore a quella di altri paesi. Ma interventi pesanti richiederebbero una revisione del confine pubblico/privato, chiedendo ai cittadini di pagare o di pagare di più i servizi offerti dal settore pubblico. È possibile, ma andrebbe detto chiaramente, in particolare da parte dei “tagliatori facili” che popolano i media.
5. La spending review del governo Monti prende invece come dato (per ora) il confine pubblico/privato. Dunque, gli unici interventi possibili sono interventi di razionalizzazione nell’offerta dei servizi. In sostanza, si prefigurano revisioni nell’organizzazione sul territorio di alcuni grandi ministeri di spesa (Istruzione, Interno, Giustizia, Trasporti), come riduzione nei giudici di pace, accorpamenti di tribunali e prefetture, di uffici scolastici. Si prevedono anche interventi per riallocare sul territorio e per uffici gli impiegati pubblici, dalle aree con eccesso di personale a quelle con carenza, e una migliore gestione del patrimonio edilizio. Sono gli stessi ministeri, e in larga misura le stesse proposte, già presenti nel Rapporto sulla revisione della spesa, licenziato subito dopo la fine dell’esperienza dell’ultimo governo Prodi, dalla commissione voluta da Tommaso Padoa-Schioppa. Se il governo Berlusconi, invece di metterlo nel cassetto, lo avesse letto, avremmo risparmiato tempo prezioso e avremmo forse anche risparmiato la stagione dei tagli lineari. Almeno, sembra che Piero Giarda lo abbia sfogliato.
Volontà politica ma in ritardo
6. Gli interventi previsti sono del tutto ragionevoli e in grado di produrre miglioramenti consistenti nella qualità dei servizi, cosa di cui abbiamo disperato bisogno. In termini di riduzioni di spesa, gli effetti nell’immediato sono però limitati. Se vuole raggiungere gli obiettivi di risparmio già nel 2012, il governo dovrà per forza di cose agire sui soli meccanismi aggredibili nel breve periodo: l’acquisto di beni e servizi e i trasferimenti. Di qui, probabilmente la scelta di Enrico Bondi e Francesco Giavazzi. E su questo fronte, i risparmi strutturali possibili sono sicuramente ben maggiori dei 7,2 miliardi previsti.
7. Un’innovazione utile che era stata introdotta da Tommaso Padoa-Schioppa in connessione con la spending review nel 2007, poi persa negli anni successivi, è la riclassificazione della spesa statale per grandi funzioni, le “Missioni”, e specifici interventi di spesa, i “Programmi”. Sarebbe utile riprendere ed estendere questo tipo di classificazione all’insieme delle amministrazioni pubbliche, così da rendere più trasparente su cosa si spende, quanto si spende e perché si spende.
8. Nella lista degli interventi manca completamente la spesa locale e quella sanitaria, probabilmente perché è gestita dai governi locali, non dai ministeri centrali. Ma è chiaro che uno sforzo di razionalizzazione della spesa pubblica non può prescindere da questa componente, che da sola conta per più di 200 miliardi. Il governo avrebbe dovuto spiegare perlomeno le proprie intenzioni su questo fronte.
9. Infine, il dato politico più rilevante è la formazione della task force ministeriale con a capo lo stesso presidente del Consiglio, il viceministro del Tesoro, il ministro della Funzione pubblica e lo stesso Giarda. Significa che c’è la massima copertura politica possibile sul fronte della revisione della spesa, una condizione indispensabile perché gli altri ministeri e le burocrazie ministeriali, a partire dalla Ragioneria generale, si adeguino. Forse è la volta buona perché, dopo tante chiacchiere e tanti studi, qualcosa si faccia davvero sul fronte della spesa.
10. Infine, non si capisce però perché il governo non si sia mosso prima. In fondo, le cose da fare sono note e un precedente rapporto Giarda, scritto l’anno scorso per l’allora ministro Tremonti, già offriva una ottima base di partenza. Questo governo è a tempo; sprecare il poco che ha non è una buona idea.