Le bandiere tunisine son già rosse di per sé e frusciavano leggere alla brezza ormai quasi estiva. C’erano ragazze che giravano avvolte. Il secondo Primo Maggio dopo la Rivoluzione è stato il primo veramente sentito, un appuntamento vissuto con un crescendo persino esagerato di crucialità politica.
Al di là del numero cospicuo di partecipanti, è stato un trionfo – sotto tutti i punti di vista – della Ugtt, (Unione generale dei lavoratori tunisini) lo storico sindacato tunisino già così importante nella indipendenza dalla Francia come nell’abbattimento del regime di Ben Alì. Ed è stata una soddisfazione per tutti, perché la giornata si è svolta senza incidenti nonostante le abbondanti “gufate” da più parti. La vittoria tattica della Ugtt era già stata evidente nei giorni precedenti, quando – mentre ancora i partiti laici di governo esitavano – il gruppo dirigente di Ennahda, il partito islamista di maggioranza, decideva di invitare la sua base a partecipare, senza bandiere di partito, al corteo della Ugtt.
In breve la storia era stata la seguente: dopo alcuni episodi di scontri ( per la verità non gravissimi) tra salafiti e laici, il Ministero degli Interni aveva avuto la pensata, a fine marzo, di proibire la Avenue Bourguiba alle manifestazioni. Il 9 aprile si era scatenata addirittura la violenza poliziesca, comprese aggressioni a giornalisti. La Ugtt aveva dichiarato l’intenzione di svolgere comunque il suo Primo Maggio nella Avenue Bourguiba. Erano fioccate le adesioni di tutti gli ambienti della opposizione e della società civile, desiderosi di rifarsi del 9 aprile. Tutte le cause aperte di questo secondo anno di “Primavera Araba” sono confluite sotto l’ombrello della Ugtt, dai “martiri” della Rivoluzione in attesa di indenizzo ai “Diplomati Disoccupati” ai giornalisti per l’indipendenza dei media , dalle città del Sud sempre un po’ in subbuglio alle femministe e ai laici in genere, ai partiti della opposizione.
Il Primo maggio stava diventando appannaggio dell’opposizione e Ennadha – che pure è ancora fortissima nei sondaggi – non poteva permetterselo. Così, dopo che il Governo ha autorizzato la manifestazione, il partito ha chiamato a essere in piazza. E gruppi combattivi ma pacifici e beneducati di suoi militanti si sono piazzati presto sotto la sede del Ministero degli Interni e dell’adiacente sindacato dei poliziotti, scandendo slogan semplici ma sottili per disinnescare i conflitti, tipo “Il popolo vuole l’Unità nazionale” o “Il lavoro è una dignità dell’uomo”. (Singolare il cartello di uno dei Diplomati Disoccupati:”oggi ci sentiamo come gli orfani alla Festa della Mamma”).
Poche ore prima della manifestazione il segretario generale aggiunto Ahmed Dhifalli mi aveva dichiarato “non abbiamo nulla contro gli islamisti, purchè rispettino il nostro ruolo e siamo sempre pronti a collaborare col governo, purchè davvero intervenga per il lavoro. Abbiamo 700 mila iscritti! (I tunisini sono in tutto poco più di 10 milioni).”
Al tempo stesso la Ugtt faceva uscire un bilancio molto critico sui primi mesi del governo capeggiato da Hamadi Jebali, accusandolo di non aver mantenuto le promesse di impegno sociale. Sulla difensiva, il primo ministro, che sa di non avere molte risorse da investire per fronteggiare la disoccupazione, ha lanciato un Fondo Nazionale per l’impiego, da finanziarsi attraverso sottoscrizioni volontarie. Con molta pressione verso il settore pubblico. Per dare l’esempio i ministri devolveranno l’equivalente di 6 giornate mensili del loro stipendio.
Forte del successo del 1 maggio la Ugtt non si accontenterà di collette. C’è chi la invoca come unica possibilità di mettere insieme le disperse forze della sinistra laica e costruire un’alternativa competitiva a Ennadha per le prossime elezioni. Ma il nuovo gruppo dirigente Ugtt vuole giocare il ruolo sociale del sindacato fino in fondo, al riparo da fortune politico –elettorali. E gode del rispetto del padronato locale. Addirittura la Utica, la Confindustria tunisina , ha creato una commissione mista paritetica con la Ugtt, senza presenza del governo, per un confronto diretto sui principali problemi sociali ed economici del paese.