Si è dimesso Richard Grenell, assunto soltanto due settimane fa da Mitt Romney come suo portavoce per le questioni di politica estera. Grenell, un repubblicano che aveva lavorato alle Nazioni Unite durante la presidenza di George W. Bush, è apertamente gay e cita questioni personali in una dichiarazione rilasciata al Washington Post: “Pur apprezzando la sfida che mi è stata offerta per affrontare i fallimenti in politica estera di Obama e la sua debole leadership mondiale, la mia abilità di parlare chiaramente e con forza è stata grandemente diminuita dalla discussione iperpartigiana di questioni personali”. Nella dichiarazione, Grenell nega che la sua omosessualità possa essere stata un problema per l’ex-governatore del Massachusetts: “Desidero ringraziare il governatore Romney per la sua fiducia in me e nelle mie capacità, e per avermi chiaramente spiegato che il mio essere apertamente gay non è un problema per lui e per il suo team”.
In realtà, ormai da alcune settimane, Grenell era finito nel mirino di quei conservatori religiosi che Romney continua a corteggiare, senza davvero riuscire a conquistare. Il Family Research Council, attraverso il suo presidente Tony Perkins, aveva osservato che “è preoccupante vedere che nella potenziale amministrazione Romney è stata scelta una persona che continuerebbe nelle politiche di Obama”. Ancora più duro il commento, affidato a Twitter, di Bryan Fischer dell’American Family Association: “Romney sceglie un gay dichiarato e rivendicativo come portavoce. Se il personale è politico, il suo messaggio alla comunità pro-famiglia è: crepa!”.
Grenell, che lavora a Los Angeles per una società di pubbliche relazioni, è d’altra parte conosciuto negli ambienti della politica americana per il suo carattere particolarmente franco e per le prese di posizione a favore dei diritti omosessuali. In politica dalla metà degli anni Novanta, quando era descritto come uno degli astri nascenti del partito repubblicano, vicino all’allora speaker della Camera Newt Gingrich, Grenell cercò senza successo, negli anni di lavoro all’Onu, di far registrare il suo partner Matt nei documenti ufficiali del Palazzo di Vetro. Una battaglia piuttosto inconsueta per un membro del partito repubblicano, che in questi anni si è spostato su posizioni sempre più tenacemente contrarie ai diritti omosessuali (esiste una sola vera organizzazione nazionale di omosessuali repubblicani, i Log Cabin Republicans, che hanno però pochissima influenza nel partito).
Poco propizi al prosieguo della carriera politica di Grenell sono stati però anche una serie di commenti piuttosto taglienti affidati dall’ex-portavoce di Romney a Twitter. Di Hillary Clinton, Grenell ha scritto che “assomiglia sempre più a Madeleine Albright”. A Rachel Maddow, giornalista progressista di Msnbc, ha consigliato di “tirare un bel respiro e indossare una collana”. Impietoso anche il giudizio sull’acconciatura della moglie di Newt Gingrich, Callista, che avrebbe i capelli “a scatto”, e che si comporterebbe come “la moglie numero uno agli eventi politici”.
Le dimissioni di Grenell sono state subito sfruttate dai democratici di Obama per stigmatizzare le posizioni di Romney in tema di diritti civili. “Oggi abbiamo appreso che nel 2012 un candidato repubblicano alla Casa Bianca non può avere un portavoce gay”, ha scritto su Twitter Teddy Goff, il direttore della campagna digitale di Obama. Secondo l’ex-portavoce della Casa Bianca Bill Burton, “questi sono gli estremisti bigotti e anti-gay di cui una amministrazione Romney diventerebbe ostaggio”. I commenti dei democratici, del resto, più che alla comunità omosessuale americana (il cui voto è assicurato, dopo alcune delle riforme di Obama: abolizione della “Don’t Ask, Don’t Tell”, benefici sanitari e pensionistici per i partner omosessuali degli impiegati federali) sembrano rivolgersi proprio alla più vasta porzione di elettorato preoccupato del ruolo che i conservatori religiosi avrebbero in un’eventuale amministrazione Romney. Se i difensori della famiglia sono capaci di spingere alle dimissioni un portavoce gay, cosa potrebbe succedere con le politiche legate alla contraccezione, all’aborto, alla laicità dello Stato?