In questi mesi si sono giustamente moltiplicate le azioni di solidarietà per migliaia di lavoratori colpiti da una crisi senza precedenti e da una politica di fatto assente, che non ha saputo contrapporre al concetto di rigore quello di equità, pur facendo rientrare entrambi i termini nelle prime dichiarazioni programmatiche del governo.
Tuttavia sento ancora – indipendentemente dalla mera cronaca dei tg – tiepide forme di solidarietà nei confronti della marea di imprenditori – soprattutto piccoli imprenditori dislocati nei distretti industriali del nostro Paese – colpiti da questa crisi e che spesso trovano soltanto nel gesto estremo del togliersi la vita una possibile risposta. Venerdì a Marmolada in provincia di Nuoro un cinquantacinquenne imprenditore del settore edile si è sparato dopo aver dovuto prendere la drammatica decisione di licenziare i suoi due figli per problermatiche economiche nella sua azienda. E’ solo una degli ultimi suicidi tra gli imprenditori italiani, almeno otto nell’ultimo mese a causa della crisi: stando ai dati del Corsera pubblicati ieri sono 70 gli imprenditori che si sono tolti la vita nei primi quattro mesi del 2012.
C’è stata anche polemica sui numeri, che ad una prima lettura vedrebbero moltiplicarsi i suicidi tra gli imprenditori nostrani. In realtà la sola statistica non ammette dubbi al riguardo: i numeri non sono affatto maggiori a quelli degli anni passati e anche nel confronto tra Grecia e Germania siamo a numeri più contenuti. Ma questo in realtà poco importa. Comunque il premier Monti ha affermato: “In Grecia ci sono stati tagli enormi negli ultimi due anni che hanno determinato 1725 suicidi. Questo è quello che in Italia cerchiamo di invertire per non precipitare in quel precipizio”. Proprio dalle colonne del Fatto gli amici di Spinoza.it con amaro sarcasmo hanno risposto al premier: “E’ bello sapere che ci sia qualcuno che conta mentre tu muori”.
Indipendentemente dalle valutazioni di mera statistica quello che emerge è che siamo di fronte ad un dramma non strettemente inquadrabile in uno specifico ambito geografico: le morti tra gli imprenditori si stanno moltiplicando al nord come al sud, e inoltre vanno a coinvolgere diverse classi sociali e settori merceologici.
Ci vuole coraggio oggi a fare l’imprenditore, forse tanto quanto il lavoratore, per combattere nello stesso agone una battaglia impari con una crisi senza precedenti. In questo blog ci occupiamo di lavoratori della rete e non possiamo non segnalare come proprio ieri dalle colonne del Corsera è intervenuto sul tema Edoardo Nesi, in un appello rivolto agli imprenditori italiani perché non arrivino a mollare: “Hanno paura, sono arrabbiati, mi confidano gli stessi problemi, mi rivolgono le solite domande: perché dovrebbero continuare a cercare di resistere sull’onda di una globalizzazione indiscutibile e inarrestabile, alla scomparsa del credito bancario, al rarefarsi e affievolirsi dei loro clienti e dei loro mercati, all’annerirsi quotidiano del sudario di sconforto e pessimismo che copre oggi il nostro Paese?”
Ecco perché occorre solidarietà sia per i lavoratori che per i loro datori di lavoro: mercoledì 18 aprile a Roma si è tenuta una fiaccolata silenziosa, mentre a Vigonza è nata l’associazione “familiari imprenditori suicidi” su iniziativa di Flavia Schiavon e Laura Tamiozzo. E questo venerdì a Bologna si terrà la marcia silenziosa ideata da Tiziana Marrone, moglie di Giuseppe Campaniello, il cinquantottenne che si è dato fuoco lo scorso 28 marzo davanti all’Agenzia delle Entrate di Bologna.
Nella parte conclusiva del suo intervento, Nesi ha scritto: “Alle loro domande io riesco solo a rispondere commosso che, se mollano loro, molla il Paese. Che hanno nelle mani il futuro dell’Italia e dei nostri figli”. Occorre che tutti ce ne ricordiamo. Senza se e senza ma.