C’e’ una cosa che accomuna tutti i traslochi, ovunque nel mondo, e cioè il ritrovarsi fra le mani delle cose che non si vedevano da un po’.
La terza cosa che ho sistemato nel mio nuovo appartamento (il sesto in cinque anni!!!) – dopo la cucina e la camera da letto – è stata la mia libreria, cioè quella che Kathya mi ha dato “in adozione temporanea”, insieme alla maggior parte dei miei mobili, quando ha lasciato New York. Amo questa libreria: fatta a mano, con del bel legno e tutta asimmetrica, un po’ irregolare, proprio come me e le mie letture.
Mentre sistemavo, dicevo, mi è capitato fra le mani il libro “C’era una volta un cancro” di Maria Rosaria De Luca che mi arrivò qui, a New York, un po’ di tempo fa, accompagnato da un video di Gabriele Muccino. Sulla copertina, il volto sorridente di una donna, mani nei fianchi e sorriso contagioso. Quella donna ha sconfitto il cancro e con altre quattordici “combattenti”, racconta la sua storia in un volume che parte della morte per distribuire vitalità e forza a ogni parola. Parole che, raccolte da quindici giornaliste, una per ogni donna, raccontano di vite travolte da una fine imminente, dalla paura, dalla tristezza e anche dalle lacrime ma poi tornate alla terra, sanate, private del “mostro”, liberate da quel “brutto male” di cui a volte ancora non riusciamo nemmeno a pronunciare il nome.
Dal libro, arricchito dalle foto di Claudio Porcarelli, Gabriele Muccino ha tratto un video, intitolato, appunto “Tre donne” in cui, alcune testimonianze sono raccontate con la stessa forza e la stessa incisività che è possibile ritrovare in quelle scritte.
Mentre lo sfogliavo, di nuovo, pensavo alla mia intervista con Emme, la prima, fra le modelle “taglie forti”, a ricevere assegni a molti zero proprio come le sue colleghe “magre”. Emme ha combattuto e sconfitto il cancro e mi ha detto che, al di là degli aspetti devastanti della malattia, essa insegna due cose fondamentali, apparentemente banali, ma mai abbastanza praticate: il valore della vita e del suo attimo e la capacità di chiedere aiuto. “La sera – mi ha detto Emme – mia figlia, che era una bambina, mi preparava un pediluvio perché voleva che mi sentissi meglio e mi diceva “andrà tutto bene”.
Parlare di cancro resta una cosa difficile. Per chi lo ha avuto e per chi lo teme. Eppure è l’unico modo per conoscerlo e, dunque, per arginare le proprie paure e convincersi, come è giusto che sia, che lo si può sconfiggere. Non sempre ma spesso.
Ho messo, nella mia libreria, il libro di Maria Rosaria, accanto alla mia copia di Peter Pan che mi porto sempre dietro. Per ricordarmi, se dovessi distrarmi, della bellezza del vivere.