Passato l’ultimo drago della city verso est ci si immerge in una zona che fin da tempi lontani ha ospitato persone e colori da tutto il mondo, conservando tracce indelebili nel design sociale-urbano e nelle energie dei luoghi.

Nell’infinito percorso evolutivo di questo grande laboratorio a cielo aperto, negli ultimi anni si sono verificati dei nuovi processi interessanti se non unici rispetto alle altri parti della città. La zona maggiormente interessata è sparsa tra i confinanti borough di Tower Hamlets, Bethnal Green, Hackney, Islington. Comune denominatore è il suo nuovo popolo, insediatosi nei vari relitti architettonici pre tatcherismo rimasti in disuso, in mezzo a quella già ricettiva piattaforma multietnica facile da notare camminando sugli odorosi marciapiedi.

Difatti un modo vintage ma efficace per capire è lasciarsi andare a lunghe passeggiate, alternando pause nei bizzarri locali o mangiando nelle miriade di tipi di cucine. In questa modalità con un occhio attento alle persone, alle varie forme di street art, alle vetrine dei vari studi o gallerie, al continuo cambio di stile dei palazzi, è possibile scorgere le forme della fusione avvenuta tra le due discipline.

Tutto accade in un contesto naturalmente ricettivo, capace di proporle come attrazioni in quel percorso economico e sociale inverso rispetto alla già indipendente e controtendente città. Per renderli visibili concettulamente: “tech and art” sarebbero inclusi nei vocabili descrittivi.

Il primo, il tecnologico, è nato inizialmente intorno ad “Old Street Tube station” tanto da essere stato soprannominato “Silicon Roundabout” per poi espandersi su tutte le zone attorno. Techcityuk racconta che dalle 20 aziende circa del 2007/8 ne sono spuntate tra le mura a mattoni quasi 700 ad oggi, tutto grazie al grande consenso dei social, del design e delle apps; così da attirare grandi big e alcune università di Londra ad investire ulteriormente, consolidandolo forse come il più grande hub d’Europa.

Il secondo, l’artistico, ha invaso e riutilizzato qualsiasi posto non abitabile, come laboratorio, galleria o spazio di comunicazione; qualche volta nascondendosi dietro scuri e anonimi portoni, altre volte esprimendo in strada con vere e proprie installazioni. È in continuo movimento, trasformazione, cambio, che rendono difficile ed intrigante identificarlo e seguirlo.

Frequentando i famosi firstthursdays è facile essere d’accordo con numeri che parlano di piu’ di duecento piccole gallerie sparse per la zona. Diversi i fattori che hanno contribuito a favore della creazione di questi fenomeni come le sinergie tra la provenienza ed entusiasmo dei personaggi, che si rapportano bene con il dinamismo della città e delle infrastrutture.  Ma alla base di tutto c’è un altro elemento più astratto ma non meno importante, ossia il continuo auto stimolo dell’ ambiente che mentre lo vivi ti cattura con i suoi mille dettagli e sfaccettature eclettiche, in uno scenario di totale libertà di espressione che nutre e sviluppa il suo popolo.

Di Fabrizio Fabiani consulente Unified Communications, Londra

 

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