Sarà pur vero che – come ha scritto Le Figaro – fin dalla sua istituzione nel 1974 il duello finale in tv non ha mai modificato i rapporti di forza tra i candidati all’Eliseo. Eppure ieri sera la tensione si tagliava con il coltello. Se ne sono accorti i quasi 18 milioni di telespettatori incollati davanti allo schermo, ma anche i due giornalisti cui è stato affidato l’arduo compito di moderare il dibattito, impietosamente derisi sul web per la loro inconsistenza. 

Il confronto è stato di alto livello (“Di sicuro Bush non sarebbe mai stato presidente se avesse dovuto fare un dibattito alla francese“, scrive un ragazzo inglese su Twitter), tanto che vengono le lacrime agli occhi a pensare ai nostri politici. Forse anche per questo motivo è difficile dire chi abbia avuto la meglio. Solo Libération si sbilancia titolando “Hollande préside le débat” (Hollande presiede il dibattito), mentre gli altri grandi quotidiani si limitano a titolare “Haute tension” (Le Figaro) o “Après le débat, M. Hollande reste le favori” (Le Monde). 

Se per il popolo della rete è stata piuttosto cristallina la superiorità del candidato socialista, è difficile negare che Nicolas Sarkozy si sia comportato come un autentico animale da palcoscenico. Lo si è visto nella prima ora abbondante del dibattito – forse anche la più noiosa, – quando i numeri l’hanno fatta da padrona: disoccupazione, debito pubblico e commercio estero sono temi su cui Sarkò è apparso più chiaro, più deciso. O comunque più efficace. Ha attaccato Hollande con argomenti precisi, magari talvolta inesatti (come quando ha affermato che i socialisti hanno tolto la tassa sulla ricchezza in Spagna e in Germania), ma d’effetto. Hollande sembrava non avere sufficiente personalità per far valere le proprie argomentazioni. Lo scrivo tenendo conto del fatto che quando si parla di numeri (peraltro tutti da verificare), non si sa mai chi dice il vero e che nell’arena televisiva (ormai ci siamo abituati), sono le verità più convincenti ad avere la meglio. Comunque: Sarkozy cita spesso la Spagna socialista come esempio negativo; Hollande ripete spesso la frase «Lei è al governo da dieci anni» (cinque da ministro, cinque da presidente, ndr); l’uno rimprovera all’altro di citare fonti inesatte. C’è addirittura spazio per Berlusconi: con lui prima si gioca a palla avvelenata (è politicamente vicino a Sarkozy, ma ha dichiarato di tifare per Hollande), poi il presidente uscente conclude dicendo che non è né da una parte, né dall’altra: è “berlusconiesque“. 

Nella seconda parte del dibattito, il gioco si fa duro. Oltre all’acceso confronto sul nucleare, infatti, si parla dell’argomento più atteso: l’immigrazione. Bisogna fare i conti con il 17,90% di elettori che hanno votato per la destra xenofoba di Marine Le Pen (che ieri ha detto che voterà scheda bianca), ma anche con un recente sondaggio (TNS Sofres per Canal+), secondo cui il 52% dei francesi pensa che ci siano troppi immigrati in Francia. Sarkozy ovviamente ci si butta a pesce parlando della minaccia islamista (soprattutto riguardo all’eventualità di introdurre il diritto di voto per gli extracomunitari alle comunali), dell’intenzione di dimezzare le entrate nel Paese e infligge un duro colpo al socialista sulla questione dei “campi di trattenimento” (dal dibattito non si è capito se Hollande è pro o contro). È a questo punto, proprio quando a mio parere i rapporti di forza sembravano compromessi, che “Cappuccetto rosso” ha affilato le unghie contro il lupo cattivo. Con coraggio e dignità, circondato dall’aura di un’insolita atmosfera sospesa nel cuore del dibattito, non ha esitato ad inanellare per ben sedici volte la formula “Moi, Président de la République” chiarendo la sua concezione di leadership di un Paese (più democratica e meno autoritaria), facendo sognare i militanti (che già definiscono lo slogan come il nuovo “I have a dream“), ipnotizzando l’avversario e aprendo una finestra sulla questione morale (e sullo scandalo del finanziamento della scorsa campagna elettorale in cui è coinvolto Sarkozy). Al presidente uscente non resta che difendersi goffamente accusando il candidato socialista di essere un “bugiardo” o un “piccolo calunniatore”, esponendo il fianco alla stoccata finale. 

Stoccata che Hollande non esita ad infliggere, con la sua dichiarazione conclusiva. L’invito a non aver paura del cambiamento è un raggio di sole rispetto al tetro universo dipinto dall’avversario: un mondo difficile di cui non si può che aver paura e dal quale bisogna essere protetti. Infine, non c’è spazio che per le proposte concrete di Sarkò all’elettorato di Le Pen e, udite udite, a quello di Bayrou (anche lui era candidato alle presidenziali), che suonano ancora una volta come un triste invito a tornare con i piedi per terra. 

Palla al centro: saranno le urne a stabilire se in Francia vincerà la paura o la speranza.

di Federico Iarlori

parigi@ilfattoquotidiano.it

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