“Il Consiglio supremo non poteva celebrare meglio di così il compleanno di Mubarak”. Il pungente commento è postato su Twitter da un manifestante egiziano, poco dopo l’esplosione degli scontri al Cairo, nella zona di Abbassiya, attorno all’edificio che ospita il ministero della Difesa, diventato simbolo del potere militare contro cui oggi decine di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare.
Altri, come Jonathan Rashad, non si limitano a commentare e trasmettono foto di piazza Tahrir di nuovo presidiata dai blindati: oltre venti M113 dell’esercito hanno creato una doppia barriera da un lato della piazza, dalla parte del ponte ‘6 ottobre’ per chiudere l’accesso. E intanto, attorno al ministero della Difesa, gli scontri sono andati avanti, con un bilancio pesante, almeno otto morti e un centinaio di feriti, che si sommano ai venti morti di qualche giorno fa, quando l’esercito è (di nuovo) intervenuto con mano pesante contro i manifestanti salafiti che protestavano per l’esclusione del loro candidato presidente dal primo turno delle presidenziali, previsto per il 23 e 24 maggio prossimi.
In realtà, oggi, le manifestazioni al Cairo – e in altre città dell’Egitto, come Alessandria – erano diverse, per anima se non per composizione e luogo. C’erano ancora i salafiti, che sono tornati a protestare dopo la preghiera del venerdì, contro l’esclusione del loro candidato. Ma c’erano anche tantissime persone che hanno risposto all’appello per fare della protesta di oggi una delle più forti da quando il paese ha iniziato il difficile e tortuoso cammino del dopo-Mubarak. Il compleanno dell’ex presidente-padrone doveva essere l’occasione per un nuovo “regalo” al popolo egiziano, cioè la fine del regime militare che, dopo una breve luna di miele con forze politiche e opinione pubblica, sembra sempre più riluttante a mollare la presa sullo stato. Tra gli organizzatori della manifestazione di oggi, anche Giustizia e libertà, il partito dei Fratelli musulmani, che però sul loro sito web hanno preso le distanze dagli scontri e hanno precisato che nessun loro militante ha partecipato al corteo che si è diretto verso il ministero. Decifrare, per di più a caldo, quello che sta succedendo in Egitto, non solo nell’ultima settimana, ma da più tempo. La tensione sta salendo, rapidamente, in vista dell’appuntamento elettorale. Nei sondaggi di questi giorni, viene dato sostanzialmente un testa a testa tra Amr Mussa, ex segretario generale della Lega Araba, e Abdel Moneim Abul Futuh, candidato islamista moderato, fuoriuscito dai Fratelli musulmani, che proprio ieri aveva incassato l’appoggio dei salafiti. Secondo alcune analisi proprio questa candidatura potrebbe dare molto fastidio a ciò che rimane, ed è molto, dell’establishment legato al vecchio regime e anche agli stessi Fratelli musulmani che hanno espulso Abul Futuh dall’organizzazione alcuni mesi fa. Secondo Alaa el Aswany, scrittore egiziano tra i simboli della primavera araba, “la situazione è ancora difficile perchè il Consiglio supremo delle Forze Armate da 15 mesi rema contro la rivoluzione. Ma si è ormai spezzata l’alleanza tra Scaf, salafiti e forze islamiche più integraliste in funzione anti-rivoluzionaria”.
Di fatto, dalle strade del Cairo alla piazza virtuale dei social media non pochi pensano invece che i militari stiano tentando (quasi) tutto per cercare di giustificare il rinvio, magari sine die, delle elezioni. Perché dopo il voto non avranno più scuse e dovranno sciogliere quel Consiglio supremo delle forze armate (Scaf) che da gennaio dell’anno scorso regge, spesso malamente, l’Egitto. Il Consiglio stesso ha annunciato che a breve, forse già entro stasera, ci sarà un comunicato ufficiale su quanto avvenuto oggi. La domanda è: i militari annunceranno il rinvio delle elezioni a meno di tre settimane dal voto? Se non sarà così, allora gli scontri di oggi saranno, nel tempo, rubricati come un altro dei molti, troppi, episodi di una transizione che si sta rivelando più difficile di quanto non si sperasse, specialmente per i suoi costi in termini di vite umane. Se invece dai generali arriverà l’annuncio temuto, allora, sarà chiaro che l’escalation di oggi e delle ultime settimane è stata una scelta premeditata, una tattica opportuna per raggiungere quell’obiettivo. Ma l’Egitto che è stato capace di liberarsi di Mubarak non potrebbe accettare che le elezioni siano rinviate senza tornare di nuovo a riempire Tahrir, la piazza simbolo del suo riscatto.
di Joseph Zarlingo