Montanelli, nel giornalismo italiano, è stato un unicum irripetibile ed ineguagliabile. Che è come l’ho “vissuto” nella mia vita e nella mia formazione. Non spetta a me darne un giudizio tecnico, politico, sociale. A me è dato solamente ricordarne l’impatto sulla mia esistenza, straordinario e insostituibile.

Avevo già avuto modo di leggere alcuni suoi articoli nelle Stanze, la famosa rubrica ch’egli teneva sul settimanale Oggi. Erano riflessioni politiche e non solo, espresse con una tempra eccezionale, ma anche con una lingua agevole, fluente, puntuta, arricchita da un lessico, magari anche un po’ demodè, ma sempre divertente e irresistibile.

Poi, al terzo liceo (scientifico, mi preme chiarire! Era il 1978, qualche mese dopo la morte di Moro) un nuovo professore, ormai vecchio del mestiere, quasi alla soglia della pensione, di quelli che incentivano gli allievi a far bene premiandoli con libri e vocabolari, mi prestava le sue copie del Giornale nuovo. Da quel momento mi si è aperto un mondo!

Quasi ogni giorno il suo editoriale lo gustavo come il primo caffè del mattino. Mai inutilmente lungo, sempre venato di un’ironia spesso amara, riportava il suo pensiero sulla nostra politica, sui partiti, sui leader. Si percepiva il suo amore per l’Italia, maledettamente non ricambiato, ma mai domo. Come un amante tradito che non può fare a meno della sua amata puttana!

Montanelli percepiva con la lucidità che gli era propria, il marciume di questo paese e ne annusava i miasmi, che ai più sfuggivano, sin dagli anni settanta, o, almeno, è quello che da quegli anni lui riusciva a trasmettere ai suoi più attenti lettori. E dico gli anni settanta perché l’ho letto con assiduità da allora.

I vari scandali, la corruttela dilagante, la grassazione come metodo non sono solamente le stigmate da tangentopoli in poi.

Chi come me ha vissuto in un paese del Sud questo l’ha percepito da sempre. Orbene Montanelli ne è stato un “denunziatore” coerente e costante sin da tempi non sospetti. Figurarsi poi in piena tangentopoli!

Il suo piccolo giornale, perché pochi erano i mezzi che Berlusconi, all’epoca suo insofferente editore gli aveva messo a disposizione, era combattivo e garibaldino in un momento caotico del nostro Paese!

Tangentopoli venne subito dopo la caduta del Muro di Berlino che, in qualche modo, fu la causa efficiente del suo scoperchiamento. Montanelli, che alla caduta del comunismo per anni non aveva creduto, ne gioì. Ma non sciolse litanie inneggianti a ciò che aveva contribuito a desiderare.

Tangentopoli divenne la sua priorità, come lo era stata, tanti anni prima, l’emersione delle ruberie dei vari ras democristiani a danno dei terremotati! E tuttavia, tangentopoli fu anche l’inizio della sua fine come direttore della sua creatura il Giornale.

La storia è nota.

Berlusconi che scende in politica, per non scendere nelle patrie galere, il suo desiderio di far di Montanelli il suo corifeo e il suo aedo, il gran rifiuto del toscanaccio di divenire un Feltri o un Belprietro qualunque. Fonda la Voce, giornale smilzo e corsaro, dalla vita troppo breve, ma intensa. Poi il suo “esilio” al Corriere della Sera. E lì Montanelli è morto.

Quando l’ho saputo, ero in vacanza a Berlino. Per me è stata una notizia dolorosa, un po’ come quando è morto mio padre. Il giornalismo italiano ha perso il suo più grande. Lo sbiadito, prolisso e spesso inutile Scalfari ha scritto che Montanelli non ha eredi nel giornalismo italiano. Io credo che Travaglio, in qualche modo, lo sia. E che il nostro Fatto quotidiano sia l’erede de la Voce: entrambi agili, corsari, liberi!

Giacomina Dingeo

 

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