“Gira”. Girai.

Il tg dell’una passava le immagini del Papa. Sapevo cosa stava per accadere, ma non feci in tempo a cambiare canale.

“Giraaa!”. Tirò in ballo, poi, l’elenco completo delle madonne protettrici delle contrade confinanti.

Scoppiai a ridere. Era un uomo onesto, il nonno, che aveva poca confidenza con la Chiesa e si vantava di capire le persone dallo sguardo.

“Va bene qui?”.

“Questo poi non lo voglio manco vedere…”.

“Pure con lui ce l’hai!” Sbottò mia nonna, come da copione, “eppure è ricco e quindi non ha bisogno dei nostri soldi, ha le televisioni e ce le fa vedere gratis ed è pure simpatico… è l’uomo della provvidenza ”.

“E’ per colpa di uno come lui che sono finito in Grecia come prigioniero e…”

“…e hai sofferto la fame e il freddo e hai preso la malaria …sei un disco rotto!”

A quel punto, nonno si chiudeva nel silenzio con lo sguardo annegato nel piatto di pinzimonio nero di pepe, intervallando i suoi pensieri con qualche sorso di vino bianco.

I racconti dei suoi tre anni di prigionia erano sistematicamente interrotti da nonna, per una sorta di scaramantico ottimismo. Lui, in quella guerra, si era innamorato della libertà, in ogni senso declinata.

Per me che avevo dieci anni, la Grecia rimaneva piuttosto un luogo esotico pieno di odori inebrianti, o forse era solo il sugo di nonna, in quel gennaio 1994.

Cambiai spontaneamente canale.

“…non è più il Direttore del Giornale…”.

“Giro, nonno?”

“No, lascia”.

Strano.

Parlava un tipo anziano, dietro una giacca a scacchi troppo grande per contenere un corpo che, a giudicare dalle mani, era assai esile. Il viso ossuto e spigoloso, così come le mani, che ondeggiavano come coltelli nell’aria. Le parole non le sentivo, poiché facevano da tappeto al servizio, ma aveva un modo di esporre la sua tesi, qualunque fosse, che incuteva una certa soggezione: sviluppava il ragionamento con gli occhi rivolti verso il basso, in questo modo trovava la concentrazione per ordinarne i tasselli, come un formidabile giocatore di domino. Quando questi erano correttamente disposti, sollevava lo sguardo, schiacciando al muro l’interlocutore.

“Guarda che roba, due spilli sono! Ah ah”. Esclamò nonno.

Parlava degli occhi del tipo affusolato alla tv, che, a giudicare dal servizio, era un giornalista che aveva perso il lavoro perché si era messo contro il capo.

“Nonno, ma come si chiama questo signore?”

“Montanelli, si chiama. Non la vedevamo allo stesso modo, ma anche lui ha fatto la guerra come me, gli hanno sparato i terroristi, adesso lo mandano pure via dal Giornale, ma nessuno, ricorda, nessuno gli ha mai pisciato in testa”.

Tacqui annuendo.

“E’ uno libero davvero quello lì”, aggiunse, “Impara!”

Anni dopo, seduto a un caffè di fronte all’università, avevo sotto gli occhi “La Stecca di Indro”. Risaliva al 1994:

“Sta arrivando l’uomo della provvidenza. E io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre”.

Andrea Pincini

 

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