Quel giorno che mio padre arrivò col Giornale

Avevo 12 anni quando mio padre portò a casa il primo numero del Giornale Nuovo, me lo ricordo come fosse oggi per l’euforia con cui lo mostrò a mia madre. Sembrava che quel giorno fosse iniziata la ‘Liberazione’.

Grazie a mio padre, solido conservatore piemontese, colto e liberale, fieramente anticomunista, ho imparato ad amare Montanelli come un maestro di vita, un difensore dei principi sacrosanti del libero pensiero contrapposto alla cultura dominante, invasiva e vischiosa, che all’epoca era incarnata dal duopolio PCI/DC.

Tutti i giorni, dopo pranzo (allora i ‘papà’ tornavano a casa per mangiare insieme alla famiglia), si passava alla lettura ‘collettiva’ di quei piccoli capolavori che erano i Controcorrente. E così ho imparato anche il valore di un’intelligenza arguta distillata in poche righe.

 Crescendo, mio padre ed io discutevamo molto di politica, e Montanelli era sempre con noi. Il suo coraggio nel ribellarsi al conformismo dilagante era musica per le orecchie di un’adolescente che voleva cambiare il mondo. Il Giornale cominciò a diventare la mia bandiera, da ostentare con orgogliosa provocazione varcando la mattina la soglia del liceo. Sì, ho rischiato le botte alla fine degli anni ’70. “Fascista di merda, torna nella fogna!”. Io fascista? “Patetici!”.

Il 2 giugno ’77 segnò l’inizio della mia rivoluzione personale; ancora non ne ero consapevole, ma l’attentato a Montanelli, a quella voce libera, lucida e profondamente coerente con le proprie idee, avrebbe forgiato per sempre il mio pensiero e determinato molte delle mie scelte di vita. Molto radicali e poco chic, sempre più vicine alla Nouvelle Droite di De Benoit.

Non ho mai più abbandonato Montanelli (o lui è sempre rimasto come me), come un padre spirituale. Dall’esperienza breve e drammatica della Voce, fino ai suoi ultimi giorni, ho ammirato la sua forza indomita di combattente, nonostante, alla fine, si sia ‘lasciato’ strumentalizzare da chi, fino a pochi anni prima, gli tirava le pietre. La sua causa contro il magnaccia di Arcore valeva anche questo.

 Lo ammetto, quando ho scoperto del suo ‘matrimonio’ giovanile con una dodicenne eritrea ho provato una fitta violenta e l’impulso di rinnegarlo. Sì, resta questa macchia, ma tutti abbiamo la nostra ‘macchia umana’; forse la sua non è peggio di quella che si portano dietro Bocca e Scalfari per gli articoli scritti su ‘La difesa della razza’ pochi anni dopo. O di Bobbio, che giurò fedeltà al fascismo (dopo le leggi razziali) per conservare la cattedra. Di Montanelli si può dire tutto, ma non che sia mai stato un voltagabbana.

 Il mio mantra montanelliano è condensato in questa frase: “L’unico consiglio che mi sento di dare – e che regolarmente do – ai giovani è questo: combattete per quello in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Ma solo una potrete vincerne. Quella che s’ingaggia ogni mattina, davanti allo specchio”.

Ed è questo il messaggio che cerco di trasmettere ai miei figli. Grazie Indro.

 

Maria Sole Croce