È quantomeno curioso, se non bizzarro che sia io che ho sedici anni, a scrivere di Indro Montanelli, che ho potuto conoscere attraverso i suoi articoli e qualche speciale in televisione mio malgrado solo pochi anni fa.
Sarà la testardaggine, la caparbia anche un po’ irritante con cui ha sempre rifiutato qualsiasi compromesso che potesse mettere in pericolo la fiducia che i suoi lettori-padroni gli tributavano o forse lo sdegno composto di quando, durante Mani Pulite, si trovò a dover rispondere a tono ai politici presuntuosi (o aspiranti tali) che pensavano a torto di dettargli cosa scrivere e cosa no; forse ancora per la dignità con cui rinunciò al suo “Giornale” che aveva fondato vent’ anni prima e disse ai suoi giornalisti che era costretto a lasciare perché non era disposto a diventare il trombettiere di nessuno, non foss’ altro che gli toccava tradire il vincolo di onestà che lo legava ai lettori.
Per tutte queste ragioni quando penso a Montanelli penso a un eterno vivo, a un osservatore attento che ha scritto la cronaca lucida di quasi un secolo di storia. E poi perché aveva bene in mente che a un giornalista senza lettori bisognerebbe dire di cambiare mestiere.
Ludovica Lopetti