“Lui l’ ho sempre conosciuto, poi l’ ho conosciuto per davvero, ma senza mai conoscerlo di persona. Indro Montanelli era un nome, strano, che avevo già sentito, ne parlavano i grandi mentre io inventavo giochi e scenari. Tempo dopo, un giornalista con un’ acconciatura riccioluta evocò quel suono, introdusse circostanze e raccontò fatti, dava il troppo all’ avido, e non feci resistenza.

Era elegantissimo e beffardo, sorrideva da scugnizzo inafferrabile. Forse a un giornalista era uno spadaccino, forse era Zorro. Teneva quelle pecore lussuose a portata di punta e le firmava, spogliava. Non erano degni dei vestiti che indossavano. Apprezzava le persone vere e sapeva riconoscerle, e dedicava loro sonetti. Deve essersi commosso anche quel rincagnato brontolone di Gino Bartali.

Parlava e mentre parlava, dischiudeva orizzonti, non sembrava vero quanto potesse suonare l’ italiano; non ci insegnano a gustare tabacco guardando un ciocco di legno. Dopo Montanelli, specchiarsi è sfiancante.

Controcorrente, quindi solo, lancia in resta, donchisciottianamente.”

Antonio Verdoliva

 

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