Non ci sono informazioni attendibili sull’innocenza o la colpevolezza di Yulia Tymoshenko. Quello che si sa di lei restituisce la storia di una donna ricca e potente, imprenditrice in un settore strategico, quello del gas e delle risorse energetiche. Sembra che sia stata anche spregiudicata negli affari: nel 2001, già più di 10 anni fa, ci furono accuse contro di lei per falsificazione di documenti e importazione illegale di metano; venne addirittura arrestata. Aveva amici chiacchierati, anche loro condannati per corruzione e altri reati tipici dei potenti dell’economia. Entrò in politica sfruttando la sua ricchezza, le sue relazioni nel mondo degli affari e della politica e una corte personale costruita attraverso la rete delle sue aziende. Fin dai primi processi si difese secondo un copione standard, sempre utilizzato fino ad oggi: persecuzione giudiziaria utilizzata come strumento di lotta politica. Insomma, una versione femminile (molto carina) di B.
La differenza, per quanto mi riguarda (ma – temo – per quanto riguarda la maggior parte delle persone che oggi si occupano di lei), è che dei suoi processi, dei reati che è accusata di aver commesso, dei suoi conflitti di interessi, della presunta strumentalizzazione della giustizia ucraina a fini politici, non so assolutamente nulla. Sono convinto che nessuno di quelli che oggi protestano conosce un solo atto dei numerosi processi cui è stata sottoposta; insomma nessuno è in grado di sapere se davvero, in Ucraina, si è realizzata una perversione dell’amministrazione della giustizia che si sarebbe piegata ai loschi fini dei suoi avversari politici. Mentre molti di noi conoscono bene, alcuni addirittura approfonditamente, i processi di B., le sue leggi ad personam utilizzate per guadagnarsi assoluzioni e prescrizioni, la perversione della politica piegata alla sterilizzazione del controllo di legalità. Per questo sono perplesso sulla crociata in favore di Tymoshenko. Siamo sicuri che sia una guerra giusta? Oppure siamo come i cittadini di Roma che si preparavano a bruciare Roma dopo l’uccisione di Cesare? “Dunque amici andate a fare ciò che non sapete”, dice Antonio ai Romani (Shakespeare, Giulio Cesare).
La politica europea sa cosa sta facendo? Oppure sta strumentalizzando, questa volta davvero, la vicenda per ragioni politiche ed economiche, perché preferisce Tymoshenko a Yanukovic il suo rivale? Non lo so, veramente. Ma non sono sicuro che sia una buona idea contestare i provvedimenti giudiziari di un Paese straniero “a priori”, dando per scontato che i giudici di quel Paese si siano fatti corrompere dal loro governo. Quando ci hanno negato l’estradizione di Battisti sostenendo che i Tribunali italiani non gli avevano garantito un processo giusto mi sono molto arrabbiato.
A meno che non ci si limiti alla protesta per i maltrattamenti. Le fotografie di Yulia Tymoshenko sono prova evidente di percosse brutali, in particolare pugni sull’addome e sullo stomaco. E la versione ufficiale ucraina è ridicola: “Lesioni auto inferte” (attenzione: non “montaggio fotografico”); mi ricorda gli arrestati che arrivavano in udienza con la faccia tumefatta dopo essere “caduti dalle scale”. Ecco, per questo sì che bisogna protestare. Ma è una questione da Amnesty International, non da cancellerie o ministeri degli Esteri. Se ci si indigna a livello di vertice politico per i pugni dati a Tymoshenko, cosa si dovrebbe fare per i detenuti cinesi o coreani?
Il Fatto Quotidiano, 4 maggio 2012