Al voto per le amministrative dovrebbero recarsi, sempre che trovino la motivazione per farlo, circa 9 milioni di italiani. Solo per stare all’ultimo scandalo, ma potrebbe ancora essere solo il penultimo, a Civitavecchia il candidato al consiglio comunale del Pdl Adriano Sinopoli ha promesso il posto da usciere al Senato a quattro ragazzi in cambio di 44.000 euro, come documentato da Il Fatto Quotidiano.
Mentre la cronaca degli scandali è impossibile da aggiornare, i tagli ai rimborsi elettorali languono nelle aule parlamentari, Bossi non esclude di ricandidarsi e Berlusconi sceglie di fare l’unica comparsata elettorale solo a Monza dove è in ballo il progetto di cementificazione selvaggia di cui è beneficiario il fratello, monta di ora in ora lo sdegno e l’allarme per lo sfascia-politica nazionale: Beppe Grillo.
Lo sconcerto è unanime e trasversale. Parte dal garante della Costituzione che non ha mai manifestato una infima frazione di tale sdegno nei confronti di chi da capo dell’esecutivo ha messo sotto i piedi la carta costituzionale, e arriva fino a Vendola che non ha mai nascosto la sua ammirazione per Don Verzé, ma nei confronti di Grillo supera in disprezzo persino D’Alema: “C’è un’onda melmosa di livore che sostituisce l’analisi, grugniti al posto della strategia”.
Anche se, come ha detto recentemente Sartori a Serviziopubblico, Grillo le spara troppo grosse perché gli italiani gli mettano il paese in mano, tutti i sondaggi gli attribuiscono mediamente l’8%, un risultato tutt’altro che disprezzabile e che potrebbe notevolmente aumentare di qui alle politiche, rebus sic stantibus.
E basta dare un’occhiata al panorama di straordinaria desolazione nell’offerta politica in queste amministrative, specie al sud, e con preciso riferimento al cosiddetto schieramento di centrosinistra, per rendersi conto di come il Movimento di Beppe Grillo, al di là delle intemperanze del capo, delle scivolate rovinose sull’uscita dall’Euro o sullo Stato più strozzino della Mafia, sia un candidato più dignitoso o meno indigeribile di molti altri.
Questa tornata elettorale che non sappiamo ancora di quanto preceda le politiche, deve essere anche l’inizio, sempre tardivo, di un’inversione ad U nei criteri di scelta per le candidature e per il reclutamento della sua classe politica da parte del partito di Di Pietro, che è il più vicino alle istanze del Movimento a 5 stelle.
Non possono più ripetersi casi come quello di Sciacca, dove il candidato sindaco dell’Idv è Pippo Turco, già dicì con Calogero Mannino, centrista cristiano con Mastella, nonché democratico autonomista con Raffaele Lombardo, senza contare che nel 2004 il partito di Di Pietro si era presentato con Mimmo Turturici di Fi.
E a ben vedere l’Idv ha contribuito non poco anche al papocchio elettorale di Palermo fornendo prima il giovane di lungo corso Maurizio Ferrandelli che ha vinto le primarie contro Rita Borsellino, grazie anche al voto taroccato allo Zen, oltre che alle “vasate” in perfetto mood cuffariano. E poi non sentendosi di sostenere il suo ex giovane di belle speranze, uscito dal partito, ha investito ancora una volta su Leoluca Orlando che, obiettivamente, ha già dato vent’anni fa.
E Antonio Di Pietro, quando inevitabilmente si trova alla corde per la ottusità o la spregiudicatezza politica con cui si è attorniato dei vari De Gregorio, Scilipoti, Razzi, non può tutte le volte scaricare tutta la responsabilità sul nefando porcellum o peggio ancora paragonarsi a Cristo, tradito dal tredicesimo apostolo.
Adesso meno che mai, dopo che, mutatis mutandis, con 11 consiglieri sotto la lente dei magistrati ed il parterre degli amici che contano a San Vittore, si è avvalso dello stesso argomento il Celeste Formigoni.