Sconfitti gli europeisti. Il Pasok crolla dal 44 al 17%. Con i componenti di Nea Dimokratia si potrebbe comporre un esecutivo di larghe intese. I neonazisti entrano in Parlamento e minacciano: "Per chi ha tradito questo Paese, è arrivato il momento di avere paura"
Fermi tutti, forse il piano della troika potrebbe essere salvo: in Grecia si potrebbe profilare un governo di grande coalizione. I conservatori di Nea Dimokratia e i socialisti del Pasok, pur accusando un durissimo colpo in termini di voti persi, per un solo deputato, otterrebbero assieme il numero fatidico (150) per avere la maggioranza in parlamento , se i dati fossero confermati. La domanda che mezza Europa si pone adesso è: ci sarà un governo, possibilmente stabile, nella Grecia post voto? Due gli scenari possibili a urne chiuse: un esecutivo di larghe intese, o il ricorso a nuove consultazioni elettorali se Antonis Samaras e Evangelos Venizelos non dovessero trovare la quadra.
La domenica elettorale greca ha offerto due certezze: astensione al 40%, e i socialisti del Pasok choccati, crollati dal 44 al 17%, mentre i conservatori dal 49 al 20%, (con i neonazisti al 7%). È la punizione del popolo che li ritiene responsabili dello sfacelo attuale. E poi le “ali” che prendono il sopravvento, a sinistra come a destra. La palma della sorpresa va ai comunisti del Syriza, guidati dal giovane Alexis Tzipras che, pur partendo da posizioni dichiaratamente antisistemiche, non sono favorevoli all’uscita dell’Ellade dall’eurozona, ma chiedono solo di rinegoziare il piano con la troika.
Dal momento che, così com’è, si abbatte solo sui più deboli, senza ad esempio puntare su uno scudo fiscale, o punire chi per troppi anni non ha versato il dovuto all’erario. Il presidente della Repubblica, Karolos Papoulias, dovrà iniziare al più presto le consultazioni: potrà contare sulla disponibilità del leader del partito socialista Venizelos che ha dichiarato come il popolo greco, con il voto odierno, «non abbia affidato alcun mandato chiaro a nessun partito». Ma ha auspicato un governo di coalizione di tutti i partiti a favore del Memorandum. Sarà difficile, dice, ma il cambiamento radicale della scena politica non significa la fine della crisi, dal momento che essa è ancora in piena evoluzione. E Samaras ha ribadito la necessità che il nuovo governo avvii la ripresa economica del auspicando anche modifiche al Memorandum ma il dato più significativo è che intende allargare la sua proposta a tutte le forze politiche favorevoli alla permanenza della Grecia nell’eurozona. Ecco la chiave di lettura del voto: anche se antitetici, Pasok e Nea Dimokratia potrebbero comporre un esecutivo di larghe intese per proseguire con le volontà franco-tedesche. E garantire quella governabilità imprescindibile per il futuro della Grecia.
Fra le righe del voto la consapevolezza che il popolo abbia virato: a sinistra e a destra. Il crollo dei partiti pro euro è sotto gli occhi di tutti. I socialisti del Pasok e i conservatori di Nea Democratia addirittura dimezzano le preferenze delle precedenti elezioni. L’exploit è tutto dei comunisti del Syriza (almeno 50 deputati) e dei comunisti del KKe (con 26 rappresentanti nella Voulì). A spaventare soprattutto il voto di protesta verso le ali estreme, in modo particolare i neofascisti di Alba dorata, (Xrisì Avghì) guidati da Nikolaos Mikalioliakos, che dopo 40 anni fanno il loro ingresso in Parlamento con almeno 22 deputati: l’onda di Marine Le Pen è arrivata dunque fin sotto l’Acropoli e ci sarebbe da chiedersi il perché (forse la vecchia politica ha fallito?). Propongono il presidio anti immigrati delle frontiere, ma anche la restituzione all’erario del frutto di tangenti e l’incandidabilità di quegli amministratori colti in flagrante. “State attenti, stiamo arrivando” è l’avvertimento lanciato dal leader del partito: “Per chi ha tradito questo Paese, è arrivato il momento di avere paura”. Ha poi citato Cesare: “Veni, vidi, vici”, assicurando che si opporrà alla “schiavitù” dell’accordo sul debito paragonandolo ad una “dittatura”.
La Grecia di oggi non è solo indignata contro una classe dirigente ingorda e impunita, ma ancor più arrabbiata per un piano europeo che certamente non poteva essere più ritardato, ma che almeno non sarebbe dovuto essere così duro nei confronti delle classi più deboli. La benzina è schizzata a due euro, a settembre altri 150mila dipendenti pubblici saranno licenziati, l’iva è al 23%. Ioannis è pensionato da due anni: prendeva 2.100 euro dopo quarant’anni di insegnamento, oggi dopo il piano della troika è sceso a 1.500 euro. E ha votato per l’estrema destra. Un altro dato è indicativo in questo senso: per la prima volta in Grecia le elezioni francesi, appuntamento seguitissimo al pari di quelle italiane e inglesi, sono passate completamente inosservate. Un altro segno di come nella patria della democrazia le cose stiano per cambiare in fretta.
La Grecia vira a sinistra. E a destra. Primi exit poll dalle elezioni politiche per il rinnovo del parlamento dopo la parentesi semi tecnica di Lucas Papademos: crollano i partiti pro-euro, i protagonisti del bipolarismo ellenico, i socialisti del Pasok e i conservatori di Nea Democratia. Rispettivamente dati tra il 17 e il 13% (dal 43,9 del 2009), e il 24 e il 20% (dal 33,5%). Exploit dei comunisti del Syriza (18-14%), e dei comunisti del KKe (tra il 10 e il 7%).
A spaventare soprattutto il voto di protesta verso le ali estreme, in modo particolare i neofascisti di Alba dorata, dati tra l’8 e il 6% (certo il loro ingresso in Parlamento per la prima volta dopo 40 anni). Il dato negativo del Pasok e, leggermente meno grave della formazione di centrodestra, rappresenta la risposta del popolo greco alle forze politiche che hanno governato ininterrottamente dalla caduta dei Colonnelli a oggi. E che hanno causato l’attuale situazione economica.
Trend positivo per gli Indipendenti greci del carismatico Kammenos (fuoriuscito da Nea Democratia e protagonista di una filippica nell’aula della Camera che ha fatto il giro della rete), dati tra il 10 e il 12%. E per le forze di sinistra con, si stima, almeno 80 deputati per Kke e Syryza: il primo con a capo l’ortodossa Aleka Papariga, il secondo con il giovane Alexis Tzipras, che pare non abbia raccolto consensi solo nell’elettorato classico composto da impiegati, operai e studenti, ma sia riuscito ad allargare il proprio bacino anche in fasce sociali che fino a ieri non erano interessate a una politica “sociale”. E che oggi invece hanno mutato atteggiamenti e scelte.
In serata si avranno i dati ufficiali, ma già si abbozzano i primi progetti sulla formazione o meno di un esecutivo. Due gli scenari ipotizzati al momento: o un governo di unità nazionale composto dall’unione di forze politiche pro-Ue, o il ritorno alle urne. La prima ipotesi sembra di difficile realizzazione, in quanto Pasok e Nea Democratia da soli non avrebbero la forza per farlo, bensì dovrebbero scendere a patti con le due forze di sinistra radicale che hanno rappresentato la vera sorpresa delle consultazioni elettorali.
I primi dati diffusi in serata dal ministero dell’Interno sembrano però indicare la possibilità di una “grande coalizione”: Nea Dimokratia e Pasok sulla carta avrebbero i 151 seggi necessari per avere la maggioranza nel Parlamento. I conservatori avrebbero ottenuto 109 seggi con il 19,2% dei voti; i socialisti 42 seggi con il 13,6%. La Sinistra Radicale (Syriza) sarebbe a sorpresa seconda con il 16,3% e 50 deputati. Si tratta però di proiezioni su dati ancora ridotti. Il leader socialista Venizelos si è detto favorevole a un governo di unità nazionale pro-euro, anche se ha ammesso che costituirlo non sarà semplice.
Secondo la Costituzione greca, il leader del partito di maggioranza relativa (che ottiene un premio di 50 seggi) è chiamato dal presidente della Repubblica per comporre il un governo. Ma per governare da solo un partito necessita di una percentuale tra il 36,4 per cento e il 42,7 per cento, in quanto varia a seconda del numero dei partiti che superano lo sbarramento per entrare in Parlamento. Al momento nessuno dei partiti si è avvicinato a quei numeri.
Intanto la giornata è stata caratterizzata da microepisodi che hanno dato la misura della protesta sociale. Gli abitanti di due piccoli villaggi nella provincia settentrionale di Trikala (Petrochtò e Abelokipi) non hanno votato per protestare contro le conseguenze del piano della troika.
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Aggiornato dalla redazione web alle 21,15