Tre sono gli elementi degni di nota di questa ultima tornata elettorale in Gran Bretagna, che ha riguardato più di cento consigli comunali tra Inghilterra, Scozia e Galles oltre all’assemblea cittadina e al sindaco di Londra.

Il primo – che riconferma una tendenza della politica europea  degli ultimi anni – è che chi governa paga. A due anni esatti dall’arrivo di David Cameron a Downing Street, il governo di coalizione perde drammaticamente in tutto il Paese. Certo, si tratta di un voto Mid term a carattere locale, ma il segnale è forte. Anche Londra, che pure ha riconfermato sindaco il Torie Boris Johnson dopo un inaspettato testa a testa finale con una vecchia gloria del Labour come Ken Livingstone, il consiglio comunale è a maggioranza laburista. Non sarà facile per Boris gestire la capitale con una giunta di minoranza.

Il secondo è che, al contrario di quanto succede in Italia ma anche in altri Paesi europei, un partito di stampo tradizionalmente socialdemocratico come il Labour non è mangiato dalla cosiddetta anti-politica (anche se c’è il caso Galloway, per ora tuttavia limitato a Bredford). Certo, a dispetto del suo ragguardevole 38%, il partito della rosa è tutt’altro che forte: la leadership di Ed Miliband non è stata sempre salda, negli ultimi due anni e probabilmente è stata sbagliata la candidatura di Livingstone a Londra. Ma, come a volte succede nel calcio, il Labour vince per la debolezza di Toires e Lib Dem, e tanto basta.

Il terzo è che, paradossalmente, la bocciatura del governo fa riprendere fiato ai conservatori di destra. David Cameron ha affidato al “duro” George Osborne le politiche di austerità che, oltre a creare malcontento, non hanno rilanciato nessuna ripresa economica (il Regno Unito è ripiombato nella seconda recessione), eppure la sua politica è considerata troppo poco conservatrice dalla “pancia” del partito, e soprattutto troppo sbilanciata sul versante dei diritti civili – vedi il caso del matrimonio gay, di cui Cameron è convinto sostenitore. Per il lib-conservatore primo ministro solo l’alleanza con il liberal-democratici di Nick Clegg può tenere al centro la barra del governo. Ma si dà il caso che, prevedibilmente, proprio i Lib-dem siano quelli più colpiti dall’esperienza di governo in termini elettorali.

A dare manforte agli anti-cameroniani c’è il caso dell’Uk Independence Party (Ukip) del rocambolesco Nigel Farage. Quando è nato da una costola del partito che era stato di Margaret Thatcher, Ukip era poca cosa. Ma il folklore del suo antieuropeismo populista ha fatto breccia su chi vede come il fumo negli occhi il sodalizio tra Cameron con  l’europeista Nick Clegg, e oggi Ukip naviga intorno al 10%, prospettando perfino l’incubo di un futuro affiancamento ai conservatori, almeno in alcune realtà locali.

David Cameron, oltre che dal versante politico, è anche indebolito dal caso Murdoch, che non smette di inquietarlo. In settimana Andy Coulson, l’ex-capo ufficio stampa del primo ministro, e Rebekah Brooks, a cui Cameron è legato da amicizia familiare, torneranno a deporre davanti alla commissione d’inchiesta Leveson. 

Le prossime politiche sono nel 2015. Boris Johnson, conservatore sulla cresta dell’onda, guarda alle debolezze di Downing Street. È presto, ma lui già aspetta.

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