Oggi si vota in molti paesi, all’ombra della più grande tragedia sociale che i paesi industrializzati abbiano conosciuto dopo la seconda guerra mondiale, la disoccupazione giovanile di massa. In Italia, la disoccupazione nella fascia d’età 18-24 supera il 30%, in Spagna il 50% ma nessuno sembra chiedersi quanto gigantesco sia lo spreco sociale che questo comporta. Neppure le istituzioni europee o i governi sembrano più credere alle mirabolanti promesse fino a pochi mesi fa ripetute ad ogni occasione sui benefici che avrebbe apportato l’economia della conoscenza. Eppure è bene riassumerle, per valutare la credibilità di ciò che viene detto nei palazzi del potere in questa Età dell’Ignoranza.
Il 23 e 24 marzo 2000 venne varato il cosiddetto processo di Lisbona il cui obiettivo era far diventare l’Unione Europea, entro il 2010, “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro”. A tale scopo, tutti i paesi membri lanciavano ambiziose riforme dei sistemi scolastici e si impegnavano a investire maggiormente in ricerca e sviluppo.
Il 2010 è passato, e così il 2011, mentre il 2012 è diventato l’anno in cui la stagnante economia europea, lungi dal diventare la più competitiva e dinamica del mondo, sembra sull’orlo del collasso provocato dagli errori nella concezione e gestione della moneta unica. Cos’è successo? Molte cose: la crisi americana prima e la crisi dei debiti sovrani poi, affrontata in Europa con una folle politica di austerità. Basti pensare all’allungamento dell’età di pensionamento in Italia, direttamente responsabile per il balzo in avanti della disoccupazione giovanile (le aziende non sostituiscono chi va in pensione con un neoassunto, semplicemente perché chi doveva andarsene resta altri cinque anni in servizio).
Tuttavia, il totale fallimento della strategia di Lisbona va cercato più lontano, nelle stravaganti premesse sulle quali era stata concepita: “La società dell’informazione trasformerà l’Europa in una società e in un’economia in cui le tecnologie avanzate verranno usate per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini. Se l’Europa saprà cogliere le opportunità che si prospettano, la società dell’informazione presenterà tutta una serie di vantaggi tra cui livelli di vita più elevati (…) posti di lavoro più interessanti grzie all’uso di tecnologie avanzate e di organizzazioni flessibili del lavoro. Queste stesse tecnologie consentiranno ai lavoratori di migliorare le loro abilità nel contesto di un processo di apprendimento lungo tutto l’arco della vita volto ad accrescere le loro prospettive occupazionali e i loro guadagni e serviranno a migliorare l’educazione e l’apprendimento in ambito scolastico”.
Disonestà intellettuale o ingenuità? Già 15 anni fa doveva essere chiaro che i mestieri del futuro sono non il tecnico informatico o il neuroscienziato bensì la guardia giurata, l’infermiere non diplomato, la badante. Da parecchi anni le professioni in forte crescita nei paesi europei sono quelle dei servizi alla persona: in Italia ci sono molte più badanti che maestri e professori, il che non dovrebbe stupire visto che un italiano su quattro ha più di 65 anni mentre solo uno su sette ne ha meno di 14.
Ancora negli anni Novanta il Census Bureau degli Stati Uniti aveva pubblicato analisi del futuro del lavoro, stime dei mestieri in crescita nei prossimi anni, che andavano in direzione diversa. Oggi, le previsioni al 2016 su 15 impieghi, grosso modo riconducibili a quattro categorie: informatica, finanza, servizi alla persona, sanità ci dicono che tra quattro anni dovrebbero essere in crescita (rispetto al 2006) gli specialisti di reti (+53,4%) e i tecnici informatici (+44%), lavori che in genere richiedono una laurea triennale. Queste due categorie comprendevano, nel 2006, 769.000 persone.
Le professioni finanziarie (consulenti finanziari e analisti) erano anch’esse considerate in forte crescita all’orizzonte 2016 ma queste stime oggi sono rimesse in discussione dalla crisi esplosa nel settore. Le due categorie davano lavoro, nel 2006, a circa 400.000 operatori.
I servizi alla persona includono badanti in case private (nel 2016, +50,6%) e nelle case di riposo (+48,7%), assistenti sociali specializzati in tossicodipendenza (+34,3%), assistenti sociali generici (+33%) estetisti (+34,3%). Nel 2006 queste categorie impiegavano circa due milioni di persone.
Nelle professioni sanitarie troviamo fisioterapisti (+32,4%), assistenti e segretarie in studi medici, veterinari e loro assistenti, per un totale di 626.000 occupati. A parte, possiamo considerare gli ispettori e guardie nei casinò, previsti in espansione del 33,6%.
Nelle 15 categorie studiate dal Census Bureau abbiamo quindi un solo lavoro molto qualificato (i veterinari, un corso di studi simile a quello dei medici) quattro lavori qualificati, cioè che richiedono la laurea triennale (consulenti e analisti finanziari; tecnici e analisti informatici) e ben dieci lavori che richiedono solo una laurea di 2 anni (tecnici veterinari e fisioterapisti) oppure la maturità e, nel caso delle badanti, neppure quella.
In totale, le previsioni sono di circa 100.000 posti che richiedono una formazione oltre la laurea (i veterinari), circa 1.500.000 che richiedono la laurea (una previsione molto probabilmente da rivedere al ribasso perché le professioni finanziarie nel 2016 difficilmente saranno cresciute, e forse nemmeno tornate al livello del 2006, momento della loro maggiore espansione) e ben 3.700.000 impieghi che non richiedono titoli di studio oltre la maturità, nella maggior parte dei casi neppure quella. In altre parole, il 70% (e probabilmente di più) degli impieghi facili da trovare saranno di tipo non qualificato, con una paga molto modesta e condizioni di lavoro assai dure.
La categoria di gran lunga in maggiore crescita saranno le badanti, che nel 2006 guadagnavano in media 20.000 dollari circa. Si tratta di stipendi lordi equivalenti a circa 15.000 euro, cioè tra 900 e 1.000 euro al mese netti, secondo lo stato e la clinica, o casa di riposo. Leggermente migliore la sorte di un altro gruppo numeroso (417.000 posti) e cioè le segretarie dei medici (26.000 dollari lordi annui). E’ realistico pensare che i compensi medi rimangano, nel migliore dei casi, a questo livello data la disoccupazione sopra l’8% che comprime le retribuzioni, in particolare nei lavori non qualificati che chiunque può accettare.
Questa struttura del mercato del lavoro non sembra una specificità americana ma piuttosto una situazione largamente comune ai paesi di antica industrializzazione come quelli europei, caratterizzati da un rapido invecchiamento della popolazione. La crescita delle professioni nell’informatica è reale ma non compensa la povertà di offerta di altri posti di lavoro professionalmente ed economicamente interessanti. La rete commerciale si espande ma i posti degli addetti alla vendita nei negozi dei telefonini o negli ipermercati richiedono competenze minime, hanno condizioni di lavoro squallide e stipendi bassi.
Sono sempre più ampie le schiere di giovani inseriti in impieghi precari, sottopagati, al limite della povertà. I grandi giornali, o gli studi di architetti o di avvocati possono oggi assumere per 800 euro al mese talenti che un tempo sarebbero stati compensati ben altrimenti. Il che, del resto, non stupisce e sembra piuttosto un effetto ovvio della rapida crescita delle qualifiche. L’Italia, in pochi anni, è passata da 2 a oltre 4 milioni di laureati: era immaginabile che questo aumento dell’offerta non provocasse una pressione al ribasso sugli stipendi?
Le professioni che continuano a espandersi sono quelle legate a trend demografici ineluttabili, come l’invecchiamento della popolazione che porta con sé una crescente richiesta di servizi sanitari: l’Italia ha 143 anziani per ogni 100 giovani al di sotto dei 14 anni. Quindi nei prossimi anni nulla potrà far diminuire la richiesta di badanti, assistenti sociali, infermieri, fisioterapisti. Che poi questa richiesta possa venire soddisfatta, in particolare dal settore pubblico, è un’altra faccenda: ma la domanda di posti di lavoro verrà da lì, non dalle assai mitizzate tecnologie informatiche. E’ tempo di ripensare non soltanto la politica ma anche il modello di economia che vogliamo in Europa.