Terrorizzavano le loro vittime con telefonate e minacce di morte. E se non saldavano il conto in fretta arrivavano ad aggredirle, armati di coltelli. Era questo il metodo usato per costringere imprenditori e disoccupati in crisi, a cui avevano prestato soldi a tassi usurai – che arrivavano anche al 405% – a pagare i debiti. Gli inquirenti non hanno dubbi: i “metodi intimidatori violenti” usati dai presunti strozzini arrestati stamani dal Gico della Guardia di Finanza di Firenze, legati al clan dei Casalesi, erano in puro “stile mafioso”.
E’ per questo che il giudice per le indagini preliminari Michele Barillaro, su richiesta del sostituto procuratore distrettuale antimafia Pietro Suchan, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 5 persone e ne ha indagate altre 8, disponendo il sequestro di immobili e conti correnti per circa 200mila euro. Si tratta di Angelo Russo, 38 anni, e Pasquale Tavoletta, 40 anni, entrambi di Villa Literno. Con i presunti “capi” dell’organizzazione legata alla malavita campana, sono finiti in cella Paolo Chioccini di Borgo San Lorenzo (Firenze), 66 anni, Giuseppe Faraoni, 66 anni, di Scandicci (Firenze) e Franco Sicuranza, 48 anni, nato a Prato e residente a Montecatini, in provincia di Pistoia.
Le accuse, a vario titolo, vanno dall’usura all’estorsione, passando per l’esercizio abusivo di attività finanziaria, con l’aggravante delle intimidazioni tipiche del metodo mafioso. Secondo gli inquirenti, i soldi che “prestavano” li volevano indietro velocemente. E ne pretendevano molti di più, per farli rientrare in fretta in provincia di Caserta o reinvestirli in Toscana. Gli imprenditori in crisi, una volta finiti nel giro, non potevano tirarsi indietro: sapevano che in gioco c’era la loro vita. Le pressioni erano fortissime. Gli argomenti per convincerli a sborsare cifre da capogiro sono riassunti in un’intercettazione contenuta nell’ordinanza del Gip. “Mi disse che dovevo portargli immediatamente 2.500 euro altrimenti mi avrebbe ammazzato a costo di farsi 20 anni di galera. Mi avrebbe portato in Calabria per darmi in pasto ai maiali”, confida una vittima. “Non ti permettere di attaccarmi il telefono in faccia perché dove ti trovo di spacco la testa (…) Ti giuro sulla figlia mia. Devo venire a spaccare le corta a quattro cinque persone a Firenze”.
In Toscana, per gli inquirenti, ci pensavano Chioccini, Faraoni e Sicuranza a scegliere le vittime. I prestiti invece venivano elargiti nel casertano, dove i “capi” portavano gli imprenditori a ritirare i soldi. Un modo, secondo gli investigatori, di far capire loro “chi comanda”, mostrando “come si muovevano nel loro ambiente”, facendo vedere “che avevano rapporti con personaggi pericolosi”, che avevano “il dominio del territorio”. Ma soprattutto facendo capire ai toscani che se sgarravano e non restituivano i soldi in tempo, avrebbero fatto una brutta fine. Nove le vittime di usura accertate fino ad oggi dalle Fiamme gialle, tra le quali commercianti e ristoratori, un albergatore e due disoccupati ai quali le banche avevano rifiutato prestiti.
“L’organizzazione criminale, ben inserita all’interno del noto clan dei Casalesi – spiegano i finanzieri – ha avuto un ruolo di primo piano nelle zone della provincia di Caserta, soprattutto nella gestione di sale da gioco e scommesse”. Secondo i magistrati Paolo Chioccini era una figura chiave perché “legato ai casertani da un rapporto di conoscenza trentennale tra le rispettive famiglie. Questi assicurava i preliminari contatti tra le vittime e i finanziatori campani, curando anche tutte le successive fasi volte al perfezionamento delle trattative ponendo in essere comportamenti violenti ed intimidatori”. La parte logistica – per incontri con gli imprenditori – sarebbe stata affidata ai “sodali” toscani che periodicamente “tenevano summit tra loro per meglio organizzare e gestire le loro azioni criminali presso gli alberghi e ristoranti gestiti dalle loro vittime”.