Adesso le domande chiave ruotano intorno alle reazioni dei mercati. Non solo oggi, ovviamente, ma anche nei prossimi giorni, sotto il peso dell’effetto combinato Atene-Parigi. In Francia i socialisti hanno riconquistato la poltrona dell’Eliseo provocando un certo dispiacere a Berlino e agli ortodossi del rigore europeo. In Grecia, dove il debito pubblico toccherà tra qualche mese quota 160% del Pil (considerando prestiti e nuove emissioni la ristrutturazione ha avuto a conti fatti un impatto piuttosto ridotto), un under 25 su due è disoccupato e i tagli alla spesa ammontano a 3,3 miliardi, il leader di Nea Demokratia Antonis Samaras tenterà di formare un governo di unità nazionale a partire dall’alleanza con il Pasok che, da sola, non garantisce ancora la metà più uno dei seggi.

Oggi, l’indice della borsa di Parigi ha chiuso in rialzo (+1,68%) così come quelli di Piazza Affari (+2,56%) e Madrid (+2,68%) mentre Francoforte ha fatto segnare una sostanziale parità (+0,11%). Il vero disastro è arrivato però da Atene dove l’indice Ase ha chiuso in ribasso di ben 6,7 punti percentuali (con un picco in mattinata del -10%). Ma ad impressionare ancor di più sono i risultati degli istituti di credito che cedono, nel caso di Eurobank Ergasia e Alpha Bank, oltre il 19%. Nel frattempo, gli analisti di Citigroup attribuiscono alla possibile uscita dall’euro da parte di Atene una probabilità del 75%. Cosa accadrà insomma? L’unica certezza per ora è l’incertezza. E l’incertezza, si sa, è nemica della stabilità tanto quanto è amica della speculazione. Quella ribassista, ovviamente.

Francois Hollande ha centrato la sua campagna elettorale sul ripensamento della linea tedesca colpendo il suo avversario al cuore del problema. Ma ora l’impressione è che possa anche prevalere un nuovo pragmatismo. A lanciare l’ipotesi, nei giorni scorsi, è stata la Sueddeutsche Zeitung citando i verbali segreti di alcuni incontri riservati che avrebbero avuto luogo tra lo staff del candidato e alcuni emissari di Berlino. In sintesi, Hollande sarebbe pronto a cercare il compromesso evitando di massacrare il fiscal compact e spingendo forte sul tasto della crescita. Angela Merkel, che pure si è esposta malamente sostenendo in modo nemmeno troppo criptico l’amico Nicolas Sarkozy, sarà quasi certamente disposta a trattare per evitare, se non altro, di ritrovarsi sostanzialmente isolata in un’Europa che da troppo tempo sta rivalutando l’efficacia del rigore fiscale. Il rischio, però, è che l’ennesimo compromesso tra il fronte della fermezza contabile e quello pro crescita a tutti i costi (o quasi) finisca per fare assai poco per avviare un’inversione di tendenza nelle prospettive di un continente in stagnazione.

Se il futuro dei rapporti tra le prime due economie di Eurolandia resta incerto, quello sul destino politico della Grecia appare del tutto indecifrabile. I partiti tradizionali hanno perso parte del loro consenso e ora si trovano cinti d’assedio dalla sinistra radicale e dall’estrema destra. Ovvero dai movimenti antieuropeisti che sostengono lo smarcamento a tutti i costi da Eurotower e dal Fmi. Uno scenario che implicherebbe l’addio all’euro con tutte le sue disastrose conseguenze: neo dracma svalutata, iperinflazione, debito in crescita esponenziale (resterebbe espresso in euro), default disordinato (e non controllato come a marzo) e conseguente incapacità di rifinanziarsi sui mercati a tassi decenti per chissà quanti anni. Nea Demokratia e Pasok non ci pensano nemmeno. Ma ciò non toglie che possano approfittare proprio della vittoria di Hollande per sfruttare un nuovo clima europeo cercando anch’essi la via del compromesso. Sempre che, s’intende, riescano a governare il Paese.

Quando il 12 febbraio scorso, protetto da circa 6000 agenti e stretto d’assedio da decine di migliaia di manifestanti, il parlamento greco ha approvato il piano di austerity imposto dalla Troika, il leader conservatore, oggi neo premier designato, Samaras aveva dichiarato di voler rinegoziare l’accordo dopo le elezioni. Tre giorni dopo, l’Europa aveva congelato la tranche di aiuti in partenza per Atene. Se Samaras decidesse di rispettare la promessa, è evidente, i mercati potrebbero reagire male. E la speculazione al ribasso, chissà, potrebbe colpire non solo la Grecia ma anche le altre nazioni della periferia continentale (tra cui l’Italia). Per il momento resta un’ipotesi, anche perché – ed è questa la notizia migliore degli ultimi giorni – non tutti sembrano orientati al pessimismo. Venerdì, il New York Times ha evidenziato la sempre più diffusa tendenza di alcuni fondi speculativi all’acquisto di titoli ellenici nella convinzione che siano tuttora sottovalutati e destinati a salire di prezzo (ovvero che i rendimenti siano destinati a calare a tutto vantaggio della Grecia). Hans Humes, presidente dell’hedge newyorchese Greylock Capital, lo ha definito “il business dell’anno”. Non resta che sperare che siano in molti a seguire il suo esempio.

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