Antonis Samaras, leader di Nea Dimokratia, primo partito con poco più del 18%, ha rinunciato all’incarico di formare un governo di coalizione, dopo che il leader di Sinistra Democratica, considerato un possibile partner di una maggioranza insieme ai socialisti del Pasok, ha detto no a un governo di unità nazionale. Fotis Kouvelis, leader di Sinistra democratica ha respinto l’offerta del presidente dei conservatori, affermando che non cambia la posizione del suo partito: sì alla Grecia nell’eurozona, ma necessità di rinegoziare il memorandum. Toccherà al leader di Syriza Alexis Tsipras, con il suo 16,7%, tentare di formare un esecutivo. Ma a questo punto l’ipotesi di nuove consultazioni è sempre più vicina.
La corsa verso un possibile esecutivo di coalizione si è fermata a 149 deputati, due meno del necessario. Tanti sono quelli che insieme hanno i conservatori di Nea Dimokratia, primo partito con il 18,8%, e i socialisti del Pasok, terzo al 13,2%, una debacle storica se si considera che erano al 49%. Il giorno dopo delle elezioni in Grecia la parola d’ordine è caos. I mercati soprattutto asiatici ringhiano, la Germania, dopo il duro colpo francese, teme una possibile fase di assoluta ingovernabilità, anche perché i numeri parlano chiaro: 40% di greci astenuti, bipolarismo mandato in soffitta, “ali” in forte crescita. Non solo i comunisti del Kke guidati dall’ortodossia di Aleka Papariga toccano l’8,4% e i neofascisti di Alba dorata il 7% che per la prima volta dopo 40 anni fanno il loro ingresso in Parlamento. La vera sorpresa sta a sinistra e si chiama Syriza: il partito guidato dal giovane Alexis Tzipras fa il botto, diventa il secondo del paese con il 16,7% dei consensi, portando a casa ben 52 deputati e insidiando al comando Nea Dimokratia.
La freschezza del suo leader ha colpito i greci in ansia per il loro futuro e decisi più che mai a virare da una politica indiscriminatamente liberista verso una più modellata sul welfare e sui temi sociali. È grazie a queste sfumature non da poco che Tzipras, l’unico a fare veramente il pieno durate i comizi, è andato oltre l’elettorato classico della sinistra radicale, ma ha fatto presa anche sulla classe media, su quella che si è vista stipendi e pensioni ridotte del 20%. Le stesse famiglie che patiscono l’iva al 23%, l’aumento folle della benzina verde sino ai due euro di ieri. Roba da far impallidire anche i cinesi che arrivano nell’Egeo con le tasche piene di yen e che stanno tentando una colonizzazione finanziaria, resa difficile anche dalla mancata emissione di eurobond.
In giornata Antonis Samaras, leader del partito Nea Dimocratiaè stato ricevuto dal Presidente della Repubblica, Karolos Papaoulias, per avere da lui l’incarico di cercare di formare il nuovo governo. Il partito che adesso sarà incaricato avrà solo tre giorni per formare il governo, poi in sequenza si passerà agli altri. Lo stallo ulteriore potrebbe portare nuovamente a elezioni entro un mese, con altri dieci milioni di euro da spendere in un momento delicatissimo per una recessione che dura continuata da 5 anni. Ma le urne hanno detto anche altro: i greci hanno voluto infliggere una durissima a punizione ai due partiti che hanno governato ininterrottamente il paese dalla caduta dei colonnelli ad oggi, che hanno chiuso l’accordo al ribasso con la troika, che non hanno fatto poi molto contro l’evasione fiscale e la corruzione e che stanno chiedendo ai cittadini sacrifici incredibili che potrebbero anche non essere sufficienti a salvare il paese dal default. Senza toccare i privilegi della casta, con monopoli ancora in piedi e senza l’ombra di una anche minima giustizia sociale se si considera che le pensioni minime sono scese a 250 euro.
Uno dei punti programmatici di Tzipras che ha conquistato l’elettorato non è stata la solita filippica antipolitica o antieuropeista a priori: bensì ha semplicemente proposto di voler restare senza dubbio nell’eurozona, ma tentando di rinegoziare con Fmi, Bce e Ue il celebre memorandum, che così com’è produce sì un risparmio notevole ma lascia sul “campo” ellenico morti e feriti a tonnellate. Perché cancella le residue speranze di ripresa, mortificando ciò che resta della minuscola iniziativa imprenditoriale privata.
L’afosa nottata di questo maggio ellenico, storico e ansiogeno, produce quindi solo altra incertezza. Anche per il successo inaspettato dell’estrema destra che dallo 0,3% di un anno fa schizza al 7%, acquisendo 21 deputati all’interno della Voulì. Non solo voto di protesta e di rabbia, ma molti greci – studenti, pensionati e gente comune – sono stati attratti dal programma del partito guidato da Nikolaos Mikalioliakos: frontiere rese impenetrabili per gli immigrati (se ne contano due milioni solo ad Atene), restituzione alle casse dello stato dei proventi delle tangenti, incandidabilità degli amministratori colti in flagranza di reato contro la pubblica amministrazione. Assicurando che il suo partito combatterà contro la schiavitù dell’accordo sul debito imposto ad Atene da Ue e Fmi, e paragonandolo a una dittatura. Ecco i frutti del voto di “pancia”, non solo estremisti ideologici ma molta gente comune stanca di una classe dirigente corrotta, di ingiustizie sociali diffuse (il presidente della banca di Grecia guadagna più di Obama). E di un futuro “normale” che sembra essere una chimera.