Sabato si è aperto a Guantanamo il processo contro Khalid Shaikh Mohammed e altri quattro detenuti accusati di essere gli organizzatori degli attentati dell’11 settembre 2001, che sui giornali é subito diventato il “processo del secolo”.
Ma quale processo del secolo?
Certo il fatto che finalmente, ben nove anni dopo il loro arresto e trasferimento nel carcere della base americana di Guantanamo Bay a Cuba, i presunti colpevoli dell’attentato (ancora vivi…) siano portati davanti ad un giudice è fondamentale.
Ma sul processo appena iniziato si annidano davvero molte nubi: anzitutto non si tratta di un giudice civile ma di un tribunale militare. Le military commissions che hanno avuto una lunga tradizione negli Usa nei confronti dei nemici catturati in guerra sono state rivitalizzate nel post 11 settembre dall’amministrazione Bush proprio per i sospetti terroristi rinchiusi a Guantanamo. I processi erano tuttavia stati continuamente bloccati dalla Corte Suprema americana su ricorso degli imputati.
Il fatto è che le garanzie processuali sono decisamente ridotte in un processo davanti ad una corte militare rispetto ad un normale tribunale civile. Molte critiche sono state rivolte all’amministrazione americana da parte delle organizzazioni per la tutela dei diritti umani per l’impiego delle military commissions, specie in un processo tanto delicato come quello per i fatti dell’11 settembre.
Obama, dopo avere cercato inutilmente di trasferire i processi a una corte federale di New York, ha dovuto arrendersi alle resistenze dei repubblicani e di gran parte dell’opinione pubblica (che ritiene gli strumenti della guerra al nemico più idonei nei confronti dei sospetti terroristi piuttosto che quelli della giustizia penale).
Senza una concreta alternativa alle corti militari e con la necessità di porre fine alle detenzioni illimitate senza processo, all’amministrazione Obama non é rimasto che cercare di fare apparire il sistema meno illegittimo di quanto non fosse.
Così é stato avviato un ‘rebranding’ del sistema Guantanamo: i nuovi processi, dopo alcuni interventi fatti dal Congresso sarebbero più ‘fair’ di quelli dell’era Bush. Il ricorso alla testimonianza indiretta è stato limitato, ma soprattutto è stato proibito di utilizzare materiale probatorio estorto sotto tortura o trattamenti inumani: uno dei problemi più grandi a Guantanamo, fino a quando Obama nel gennaio 2009 ha di fatto messo fine al programma di interrogatori segreti della Cia (disponendo anche la chiusura della prigione entro 1 anno: il che non solo non è avvenuto ma appare quasi irrealizzabile al momento).
Il processo non è pubblico. Una sessantina di giornalisti e alcuni parenti delle vittime sono stati ammessi ad assistere in locali separati davanti ad un video trasmesso in differita di 40 secondi per permettere alla corte di censurare (cosa che ha fatto diverse volte già alla prima udienza).
La prima udienza è stata definita “caotica”. La strategia degli imputati è chiara: disconoscimento assoluto dell’autorità della Corte. Così i cinque si sono completamente rifiutati di rispondere alle domande, e hanno cercato di interrompere l’udienza gridando e denunciando di essere in pericolo di vita. In pericolo di vita lo sono certamente: se condannati i cinque rischiano la pena di morte.
Ma il problema più grosso non è il processo in corso nei confronti di questi cinque detenuti, ma piuttosto che ne è degli altri detenuti di Guantanamo? Ricordiamoci che la stragrande maggioranza erano persone innocenti, che nulla avevano a che fare con gli attentati dell’11 settembre e che sono state ingiustamente detenute nelle peggiori condizioni immaginabili per lunghi anni.
Delle 779 persone che sono state rinchiuse a Guantanamo sappiamo che 600 sono state ‘liberate’ (ma sarebbe meglio dire trasferite) in altri paesi (guardate l’ottimo database del New York Times); otto sono morte in detenzione; 169 sono ancora a Guantanamo; circa 18 sono sotto processo davanti alle corti militari, inclusi i 5 in questione. E gli altri? Detenuti a tempo indeterminato, senza accusa né processo. Il paradosso è che essendo le prove state ottenute illegalmente, ora non sono utilizzabili nel processo: una cinquantina di detenuti sarebbero né rilasciabili né processabili (a detta di Obama).
Per chi avesse voglia di approfondire, vi consiglio questo accurato rapporto di Amnesty International.
Chantal Meloni
Giurista, studiosa di diritto penale internazionale
Diritti - 7 Maggio 2012
Guantanamo: ma quale processo del secolo?
Sabato si è aperto a Guantanamo il processo contro Khalid Shaikh Mohammed e altri quattro detenuti accusati di essere gli organizzatori degli attentati dell’11 settembre 2001, che sui giornali é subito diventato il “processo del secolo”.
Ma quale processo del secolo?
Certo il fatto che finalmente, ben nove anni dopo il loro arresto e trasferimento nel carcere della base americana di Guantanamo Bay a Cuba, i presunti colpevoli dell’attentato (ancora vivi…) siano portati davanti ad un giudice è fondamentale.
Ma sul processo appena iniziato si annidano davvero molte nubi: anzitutto non si tratta di un giudice civile ma di un tribunale militare. Le military commissions che hanno avuto una lunga tradizione negli Usa nei confronti dei nemici catturati in guerra sono state rivitalizzate nel post 11 settembre dall’amministrazione Bush proprio per i sospetti terroristi rinchiusi a Guantanamo. I processi erano tuttavia stati continuamente bloccati dalla Corte Suprema americana su ricorso degli imputati.
Il fatto è che le garanzie processuali sono decisamente ridotte in un processo davanti ad una corte militare rispetto ad un normale tribunale civile. Molte critiche sono state rivolte all’amministrazione americana da parte delle organizzazioni per la tutela dei diritti umani per l’impiego delle military commissions, specie in un processo tanto delicato come quello per i fatti dell’11 settembre.
Obama, dopo avere cercato inutilmente di trasferire i processi a una corte federale di New York, ha dovuto arrendersi alle resistenze dei repubblicani e di gran parte dell’opinione pubblica (che ritiene gli strumenti della guerra al nemico più idonei nei confronti dei sospetti terroristi piuttosto che quelli della giustizia penale).
Senza una concreta alternativa alle corti militari e con la necessità di porre fine alle detenzioni illimitate senza processo, all’amministrazione Obama non é rimasto che cercare di fare apparire il sistema meno illegittimo di quanto non fosse.
Così é stato avviato un ‘rebranding’ del sistema Guantanamo: i nuovi processi, dopo alcuni interventi fatti dal Congresso sarebbero più ‘fair’ di quelli dell’era Bush. Il ricorso alla testimonianza indiretta è stato limitato, ma soprattutto è stato proibito di utilizzare materiale probatorio estorto sotto tortura o trattamenti inumani: uno dei problemi più grandi a Guantanamo, fino a quando Obama nel gennaio 2009 ha di fatto messo fine al programma di interrogatori segreti della Cia (disponendo anche la chiusura della prigione entro 1 anno: il che non solo non è avvenuto ma appare quasi irrealizzabile al momento).
Il processo non è pubblico. Una sessantina di giornalisti e alcuni parenti delle vittime sono stati ammessi ad assistere in locali separati davanti ad un video trasmesso in differita di 40 secondi per permettere alla corte di censurare (cosa che ha fatto diverse volte già alla prima udienza).
La prima udienza è stata definita “caotica”. La strategia degli imputati è chiara: disconoscimento assoluto dell’autorità della Corte. Così i cinque si sono completamente rifiutati di rispondere alle domande, e hanno cercato di interrompere l’udienza gridando e denunciando di essere in pericolo di vita. In pericolo di vita lo sono certamente: se condannati i cinque rischiano la pena di morte.
Ma il problema più grosso non è il processo in corso nei confronti di questi cinque detenuti, ma piuttosto che ne è degli altri detenuti di Guantanamo? Ricordiamoci che la stragrande maggioranza erano persone innocenti, che nulla avevano a che fare con gli attentati dell’11 settembre e che sono state ingiustamente detenute nelle peggiori condizioni immaginabili per lunghi anni.
Delle 779 persone che sono state rinchiuse a Guantanamo sappiamo che 600 sono state ‘liberate’ (ma sarebbe meglio dire trasferite) in altri paesi (guardate l’ottimo database del New York Times); otto sono morte in detenzione; 169 sono ancora a Guantanamo; circa 18 sono sotto processo davanti alle corti militari, inclusi i 5 in questione. E gli altri? Detenuti a tempo indeterminato, senza accusa né processo. Il paradosso è che essendo le prove state ottenute illegalmente, ora non sono utilizzabili nel processo: una cinquantina di detenuti sarebbero né rilasciabili né processabili (a detta di Obama).
Per chi avesse voglia di approfondire, vi consiglio questo accurato rapporto di Amnesty International.
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Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno sette persone sono state uccise e 52 ferite negli scontri scoppiati la scorsa notte al confine con la Siria. "Gli sviluppi degli ultimi due giorni al confine tra Libano e Siria hanno portato alla morte di sette cittadini e al ferimento di altri 52", ha affermato l'unità di emergenza del ministero della Salute.
Beirut, 17 mar. (Adnkronos/Afp) - Hamas si starebbe preparando per un nuovo raid, come quello del 7 ottobre 2023, penetrando ancora una volta in Israele. Lo sostiene l'israeliano Channel 12, in un rapporto senza fonti che sarebbe stato approvato per la pubblicazione dalla censura militare. Il rapporto afferma inoltre che Israele ha riscontrato un “forte aumento” negli sforzi di Hamas per portare a termine attacchi contro i kibbutz e le comunità al confine con Gaza e contro le truppe dell’Idf di stanza all’interno di Gaza.
Cita inoltre il ministro della Difesa Israel Katz, che ha detto di recente ai residenti delle comunità vicine a Gaza: "Hamas ha subito un duro colpo, ma non è stato sconfitto. Ci sono sforzi in corso per la sua ripresa. Hamas si sta costantemente preparando a effettuare un nuovo raid in Israele, simile al 7 ottobre". Il servizio televisivo arriva un giorno dopo che il parlamentare dell'opposizione Gadi Eisenkot, ex capo delle Idf, e altri legislatori dell'opposizione avevano lanciato l'allarme su una preoccupante recrudescenza dei gruppi terroristici di Gaza.
"Negli ultimi giorni, siamo stati informati che il potere militare di Hamas e della Jihad islamica palestinese è stato ripristinato, al punto che Hamas ha oltre 25.000 terroristi armati, mentre la Jihad ne ha oltre 5.000", hanno scritto i parlamentari, tutti membri del Comitato per gli affari esteri e la difesa.