Il nuovo presidente della Repubblica vuole un protocollo aggiuntivo al fiscal compact, partorito nei mesi scorsi da "Merkozy". Che contenga misure che possano rilanciare la crescita economica. Perché quel trattato non si limiti solo all’ossessione del rigore nei conti pubblici
Poteva essere un raduno di nostalgici. Della serie: «Quel 10 maggio 1981, 31 anni fa, per Mitterrand, c’eravamo anche noi, proprio qui, alla Bastiglia». Ma, in realtà, nella notte passata, ad attenderlo nella piazza simbolo del popolo parigino, François Hollande, nuovo Presidente di Francia, ha trovato quasi soltanto giovani. Figli di “bobos”, i bourgeois-bohème, quei borghesi progressisti così tipici dell’Est parigino. Studenti universitari di provincia. Ragazzi un po’ persi della periferia. «Sarò il Presidente della gioventù di Francia», ha urlato (commosso, provato) nel microfono. Per poi aggiungere: «Siate felici, siate orgogliosi, siate generosi: voi siete un movimento che si desta ovunque in Europa».
Neanche in quel momento, con quel tipo di pubblico, fra effluvi di salsicce e di altro tipo, Hollande ha dimenticato uno dei cavalli di battaglia della sua campagna: riformare l’Europa, rifondare l‘Europa. In precedenza, a Tulle, nel suo primo discorso da Presidente aveva detto di volere un «nuovo orientamento dell’Europa sull’occupazione e l’avvenire». «L’Europa ci guarda e, nel momento in cui i risultati della nostra elezione vengono resi noti, sono sicuro che in molti Paesi questo sta provocando un certo sollievo, una speranza, l’idea che alla fine l’austerità non possa essere una fatalità. Insomma, che bisogna dare alla costruzione europea una dimensione di crescita, di prospettiva, di futuro». «E’ quello che diro’ il prima possibile ai nostri partner. E prima di tutto alla Germania, in nome della responsabilità che ci è comune».
Hollande vuole un protocollo aggiuntivo al fiscal compact, partorito nei mesi scorsi da Merkozy. Che contenga misure che possano rilanciare la crescita economica. Perché quel trattato non si limiti solo all’ossessione del rigore nei conti pubblici. Ieri sera il nuovo Presidente francese ha ricevuto una chiamata telefonica dalla Merkel, mentre Guido Westerwelle, ministro tedesco degli Affari esteri, ha assicurato che Berlino e Parigi lavoreranno «insieme a un patto di crescita per l‘Europa». Fino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile: di sicuro fino a febbraio, quando ancora la cancelliera si presentava in diretta tv ai francesi, al fianco di Sarkozy, a elogiare l’amico Nicolas. E a chiedere loro di votarlo: una gaffe che passerà agli annali. Intanto si è fatto vivo pure Mario Monti, che ha promesso di voler «collaborare in maniera stretta con la Francia». Avendo per obiettivo «un’unione più orientata verso la crescita».
Ora che la notte di feste e speranze è finita, il risveglio si porta dietro quache sfida e diverse incertezze. Quali misure per la crescita? E con quali soldi? Perché se l’impostazione tradizionalmente keynesiana della sinistra francese (che in realtà è poi la stessa della destra neogollista) sarà confermata, avrà qualche problema a sposarsi con l’approccio attuale di Berlino. Hollande ha pure il problema di essere solo, come leader di sinistra, in Europa, a parte un Esecutivo traballante di un piccolo Paese come il Belgio o un’altra realtà marginale quale la Danimarca. E poi la Francia ora è debole economicamente, in particolare per i conti pubblici, con un deficit a fine 2011 a quota 5,2% del Pil, il Prodotto interno lordo Fra l’altro adesso non se ne parla, ma l’emissione di bond francesi per la bellezza di 12 miliardi di euro, prevista il prossimo 17 maggio, preoccupa non poco Hollande e compagni, ancora di più della reazione dei mercati stamani al risultato elettorale, che in ogni caso da giorni appariva inevitabile. Le feste sono terminate. Ora bisogna rimboccarsi le maniche.