Ci sono oltre 70 miliardi non contabilizzati che non figurano nel debito pubblico. Pagare le imprese con titoli di Stato farebbe sballare i conti della nostra finanza pubblica e rischierebbe di far impennare gli spread. Il premier sta trattando con Berlino, ma gli investitori sono molto sospettosi
Il “piano Monti” per ripagare i debiti della pubblica amministrazione verso le imprese e rilanciare gli investimenti pubblici non può funzionare. Se partiamo dall’ipotesi che i 70 miliardi dei debiti commerciali dello Stato verso le imprese creditrici siano stati tutti contabilizzati regolarmente nel corso degli anni vuol dire che ci troviamo di fronte ad un ammanco di cassa spaventoso, che dovrà essere recuperato con pesantissimi tagli alla spesa o con nuove imposte. Se invece partiamo dalla più realistica premessa che mentre Tommaso Padoa-Schioppa e Giulio Tremonti effettuavano i tagli alla spesa le amministrazioni pubbliche continuavano a comprare beni e servizi come se niente fosse ed accumulavano debiti non iscrivendoli a bilancio ci troveremmo, come ha sostenuto Rocco Buttiglione alla Camera, davanti ad almeno quattro punti di Pil di debito non contabilizzati. Per questo motivo la proposta demagogica del segretario Pdl Angelino Alfano di compensare i crediti verso le p.a. con i debiti verso l’erario, se fosse applicata, genererebbe un buco enorme nelle casse dello Stato.
La scelleratezza della classe politica ha generato un circolo vizioso: le imprese hanno registrato contabilmente fatturato e profitti, emettendo fatture contro gli enti pubblici e quindi devono pagare le imposte, ma i crediti non possono essere escussi perché le p.a non hanno contabilizzato i debiti. Il sistema bancario ha negli anni finanziato le imprese comprando i crediti verso le amministrazioni più indebitate ma anch’esso è arrivato al limite dell’esposizione quando, con l’aggravarsi della crisi, i grandi istituti internazionali si sono ritirati dal mercato dei crediti commerciali italiani. Il mercato dei titoli di Stato ha sino ad ora ignorato il debito sommerso della p.a. (agli investitori in Btp importa solo che si paghino gli interessi sul debito ufficiale).
Pressato politicamente e dall’opinione pubblica per dare una risposta alle migliaia di aziende in difficoltà, Mario Monti pensa di chiedere all’Unione Europea una deroga al fiscal compact per poter emettere titoli di Stato per pagare i fornitori ed effettuare gli investimenti. Non abbiamo dubbi che la Germania accetterà tale proposta e che il governo la rivendicherà come una vittoria, ma cosa ne penserà il mercato? Contabilizzando tutti i crediti verso le p.a. il debito pubblico schizzerebbe al 124 per cento del Pil. Mentre il deficit contabilizzato per l’Unione Europea rimarrebbe invariato, quello reale andrebbe al 8% spaventando gli investitori in titoli di Stato italiani.
Inoltre i Btp per finanziare tale operazione sarebbero emessi regolarmente o consegnati ai creditori per poi scontarli in banca? E che scadenza avrebbero tali titoli? Se troppo corta confliggerebbe con la ragionevole aspettativa dei detentori di Btp di veder ripagato il proprio credito alla scadenza prima di ogni altro debito dello Stato, se troppo lunga sarebbero una vera e propria stampa di denaro nazionale attraverso lo sconto di questi titoli nella Banca centrale e l’immissione di liquidità addizionale che farebbe decollare l’inflazione e gonfierebbe ancora di più il mastodontico bilancio della Bce. In un caso o nell’altro andare al mercato a raccontare che si emettono in pochi mesi titoli per 70 miliardi perché non sono stati contabilizzati correttamente i debiti non è mai una buona idea.
Il dibattito sui giornali di questi giorni inizia a preoccupare seriamente i grossi investitori internazionali che già si tengono a debita distanza dai nostri titoli di stato. Su questo argomento Monti sta scherzando con il fuoco oltre che con la partita doppia. Probabilmente il piano proviene dal ministro dello sviluppo Corrado Passera che, con la Banca Infrastrutture e Sviluppo (gruppo Intesa) ha finanziato miliardi e miliardi di crediti non contabilizzati dalle pubbliche amministrazioni. Dal punto di vista bancario il ragionamento non fa una piega: consentirebbe alle banche di scaricare sullo Stato centrale crediti dubbi nei confronti di amministrazioni traballanti; dal punto di vista dei contribuenti e delle amministrazioni virtuose sarebbe una socializzazione delle spese pazze di amministratori incompetenti se non corrotti. Il conto lo pagheremmo tutti tramite un allargamento immediato degli spread ed un costo del debito pubblico molto più alto.