Nella Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza 2011 gli investigatori prevedevano "un incremento di messaggi intimidatori apocrifi tesi a creare un clima di allarme e di tensione capace di alimentare iniziative estemporanee anche a livello individuale". Un allarme che pare trovare il suo senso dopo l'agguato a Genova al dirigente di Ansaldo nucleare
Nostalgici delle Brigate rosse? Anarco-insurrezionalisti? Cani sciolti? A 36 ore dall’agguato all’amministratore delegato di Ansaldo nucleare, Roberto Adinolfi, manca ancora una rivendicazione. Un foglio, una telefonata, un messaggio in grado di collocare politicamente quel colpo di pistola sparato a Genova, davanti all’abitazione del dirigente in via Montello 14, strada elegante a cavallo tra il popolare quartiere di Marassi e quello molto più chic di Castelletto.
La procura del capoluogo ligure indaga per lesioni aggravate con finalità terroristiche, ma tutte le piste investigative sono aperte. Dalla possibilità che si tratti di “residui circuiti di matrice marxista-leninista ispirati all’esperienza brigatista”, all’ipotesi che a colpire il manager dell’Ansaldo nel giorno in cui la città si recava alle urne per scegliere il proprio primo cittadino, siano state “individualità di ispirazione rivoluzionaria” “. Li chiama così la Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2011 i soggetti che, con l’aggravarsi della crisi economica e le misure adottate per fronteggiarla a livello sia nazionale che internazionale, siano riusciti ad aggregarsi, suggestionati dall’impatto della rabbia sociale, per “eseguire e rivendicare attacchi – anche di non elevato spessore – contro simboli e obiettivi del cosiddetto ‘potere costituito’, allo scopo di mantenere alta la tensione e verificare l’eventuale ‘risposta’ o ‘chiamata’ di altre componenti propense a intraprendere un percorso di lotta armata”. La valenza simbolica di Ansaldo energia – un’azienda che fa parte del gruppo Ansaldo Energia di proprietà di Finmeccanica – sembrerebbe accentuare questo aspetto. Se non fosse che a mancare, in questo caso, è la rivendicazione.
E allora potrebbe trattarsi di quello che la relazione dell’anti-terrorismo identificava come “gesti emulativi”: “E’ prevedibile un incremento di azioni emulative non rivendicate e di messaggi intimidatori apocrifi – si legge – rivolti a personalità di rilievo che, pur non integrando concreti profili di rischio – ed è proprio il caso di Adinolfi, mai minacciato in vita sua – mirino a creare un clima di allarme e di tensione capace di alimentare iniziative estemporanee anche a livello individuale”. Insomma, nessuna struttura, nessun tessuto organizzato dietro i due che ieri hanno impugnato una Tokarev calibro 7,62 per gambizzare Adinolfi e che poi si sono dileguati a bordo di uno scooter T Max rubato due mesi fa e ritrovato a pochi metri dall’agguato. Un’interpretazione che va a saldarsi con quanto, a febbraio, nel pieno del dibattito sull’alta velocità Torino-Lione, il capo della polizia Antonio Manganelli riferì in un’audizione davanti alla commissione Affari costituzionali della Camera: “Si parla di assassinio – disse – e allora dobbiamo capire che fino ad oggi ciò non è accaduto perché siamo stati fortunati. Si è sempre sostenuto che l’anarchismo è spontaneo e non organizzato, ma nulla vieta ad un’organizzazione anarchica di prendere un’iniziativa spontanea”.