“Il 94 per cento dei giornalisti [in Cina] ha l’impressione che il suo ambiente lavorativo sia peggiorato rispetto a quello dell’anno scorso; il 70 per cento ha subito pressioni o violenze di qualche tipo e il 99 per cento concorda sul fatto che le condizioni del giornalismo in Cina non incontrano gli standard internazionali.“
L’aveva scritto Melissa Chan esattamente un anno fa. La brava corrispondente in Cina di Al Jazeera è stata obbligata a lasciare Pechino. Ha preso un aereo ieri, dopo che il governo le ha rifiutato il rinnovo del visto giornalistico e non le ha consentito di essere sostituita da un altro corrispondente. Ne danno notizia tutti i media occidentali, ma nessuna traccia sulla stampa cinese.
Al Jazeera inoltre, è stata costretta dalle autorità cinesi a chiudere la sezione news del suo canale in lingua inglese in Cina.
Era dal 1998 che i giornalisti in Cina non erano sottoposti a questo tipo di pressioni. Quell’anno Yukihisa Nakatsu, il giornalista dello Yomiuri Shimbun (il più grande quotidiano del mondo), era stato accusato di violare segreti di Stato per aver pubblicato notizie fornite da un giornalista economico cinese precedentemente arrestato dagli agenti di sicurezza dello Stato.
Di noi italiani c’era riuscito solo Terzani, all’epoca corrispondente per il settimanale tedesco Spiegel, nel lontano 1984. “Sono stato cacciato dalla Cina perché ho scritto quel che ho scritto” dichiarerà quando lo accuseranno di aver scritto male della Cina e del regime comunista solo perché era stato espulso dal paese (memorie raccolte ne La porta proibita).
La storia di Tiziano Terzani appartiene a un’altra epoca, ma può aiutare a capire le difficoltà di essere giornalisti qui in Cina. Lui arrivò a Pechino nel 1980 con la famiglia e, forte dei suoi studi e del suo nome cinese, Deng Tiannuo, voleva vivere come un cinese: girava in bicicletta e mandava i figli alla scuola pubblica.
A un certo punto qualcuno lo informò che c’era un cinese preposto a stilare un rapporto ogni volta che lo incontrava. Riuscì comunque a viaggiare in lungo in largo e a riuscire a suo modo a spiare il mondo che “la porta proibita” celava.
Poi però fu arrestato dalle autorità con le accuse di aver trafugato tesori nazionali e di vilipendio contro il governo. Finalmente fu trattato da vero cinese: lo spedirono in un campo di lavoro per “rieducarlo“. Solo alla fine fu espulso, come uno straniero si merita.
Così Terzani ebbe occasione di vedere i laogai, e di riportarci anche quell’esperienza in quegli anni. Ora la Cina è cambiata. Ma secondo molti è proprio l’inchiesta di Al Jazeera sui campi di lavoro a non essere piaciuta agli alti quadri di partito.
Quell’inchiesta di novembre di cui già avevamo parlato e che definiva i campi una forma di moderna schiavitù in cui milioni di prigionieri producono beni che poi vengono rivenduti nel resto del mondo, anche da grandi aziende.
Una problematica su cui l’Europa non ha mai preso posizione.