L’umiliazione più grande è stata la constatazione che a ridurre in atomi i numeri del consenso pidiellino in regioni e comuni che solo un anno fa sembravano fortilizi inespugnabili, sarebbe stato Grillo che ha convogliato su di sé il voto della destra schifata dal ventennio a colori. Peggio, insomma, non poteva andare. Scappando in Russia, Berlusconi ha lasciato il cerino in mano ad Alfano, mollandolo da solo davanti alle telecamere a dire che sì, si è trattato “di una sconfitta , ma non di una catastrofe”, che “combatteremo per i ballottaggi” e che questi dati così tanto penalizzanti altro non sono che il prezzo “pagato per il senso di responsabilità che abbiamo dimostrato con l’appoggio a Monti”, però “basta con i vertici Abc, che tanto non siamo d’accordo sulla legge elettorale…”. Poi, però, dietro di lui si potevano intravedere chiaramente solo macerie, anche se lui, da buon soldato, resterà fermo a fare la guardia: “No, non mi dimetto, non me l’hanno chiesto…”. Intanto Berlusconi, che ieri prima ha preso qualche distanza dall’esecutivo, e poi ha invertito completamente la rotta parlando a ruota libera, in serata lo smentisce: “Non condivido Alfano. Per me sono risultati superiori alle aspettative”.
Confermando che Alfano rappresenta qualcosa da archiviare, soprattutto dopo che il dato siciliano ha reso ancora più evidente il nulla del suo peso politico personale in terra natia. “Questa sconfitta – dicevano ieri in via dell’Umiltà, raduno di un drappello di fedelissimi del Cavaliere di stanza nella Capitale – certifica la morte di un soggetto politico come il Pdl che non aveva già da tempo più anima; è il segnale del libera tutti … da questo momento in poi ci possiamo sentire sereni di guardarci intorno. Se non ci sarà presto una scossa, meglio andare altrove…”. Velenoso anche Ignazio La Russa, annoverato tra i falchi che vorrebbero indurre Berlusconi a staccare la spina a Monti per andare alle urne in ottobre e nervoso dalla mancanza di attenzione ricevuta dal Cavaliere sulla sua proposta: “Abbiamo sbagliato i candidati, non ho difficoltà ad ammetterlo – concionava ieri dalla Sicilia – c’è la mania di cercarli con la faccia carina senza sapere da quale esperienza amministrativa vengano”. Da oggi, nel Pdl comincia una sanguinosa resa dei conti che finirà, come preconizzato da più di un maggiorente del partito, con una diaspora verso Casini, non il contrario come avrebbe voluto il Cavaliere. Ma in realtà, altro che staccare la spina a Monti per andare alle urne in ottobre, battezzando casomai un nuovo leader come Montezemolo o come la Gelmini, gli unici due nomi che gli son passati davvero per la testa, più che quello di Passera, girato ieri. Tanto è vero che rilancia l’idea di “una forza dei moderati”. Per lui, ancora oggi, “non c’è alcun problema nel partito”. E su Monti: “Non credo che queste elezioni possano influire sulla tenuta del governo”. Insomma, il dato elettorale di ieri ha paradossalmente messo ciò che resta del Pdl e di Berlusconi in una trappola politica dalla quale sarà complicatissimo uscire. E il primo a non sapere come è proprio il Cavaliere.
Impietosamente, Giuliano Ferrara gli ha scritto un necrologio politico senza sconti: ”Berlusconi non sa che cosa fare, non ha la minima idea di cosa fare, l’unica cosa è che ha capito di dover appoggiare il governo Monti. Non ha una strategia per le alleanze, il Pdl si è spappolato molto prima delle elezioni che hanno certificato uno sfilacciamento, ma questo si sapeva: dopo Berlusconi il Pdl è a rischio esistenziale”. O, forse, già non c’è più. Anche se Silvio, a Mosca, si spellava le mani ad applaudire Putin, prima di giocarci a hockey, “dalla prima fila, prima dei posti delle first lady – ha raccontato gioioso – è stata una cerimonia molto solenne; stavo nella fila subito dopo i parenti, ho avuto davvero un posto d’onore”. L’unico che gli è rimasto.
Il Fatto Quotidiano, 8 Maggio 2012