Il vento della Grecia
Ci sono tanti venti che soffiano nelle vele del candidato socialista, in questa infuocata e gioiosa notte europea, e in questa settimana di passioni: venti di bufera che arrivano dalla Grecia, correnti carsiche che arrivano dall’Italia, rumori serbi, onde sismiche tedesche. Entri in piazza della Bastiglia, nel giorno della vittoria del partito della Rosa, e ti pare di essere alla festa per la finale di un campionato del mondo o in una delle piazze leggendarie del Novecento più popolare, quelle in bianco e nero degli anni Trenta. Entri in una piazza di gente arrampicata sui pali e appesa alle inferriate brunite delle finestre, una piazza di bandiere e di cartelli, di grida, cori, ragazzi seduti sopra le scatole d’acciaio dei semafori e stretti ai basamenti delle colonne, una piazza di champagne, panini con la salsiccia e sogni, voci che intonano la Marsigliese a ogni angolo. Quando da Atene arriva l’immagine delle svastiche ricomposte di Alba Dorata, i ragazzi sotto il maxi schermo fischiano: “Buuuuuuuùù”. Svastiche sul Pireo, inni nazionalisti a Belgrado, rose rosse a Parigi: questa crisi è come una porta girevole, che può proiettarti a destra come a sinistra.
Ha vinto Hollande, hanno vinto i socialisti, la “Gauche plurielle” che torna al potere dopo la lontana, quasi mitologica, stagione di governo inaugurata da François Mitterrand nel 1981. Ha vinto un candidato normale in un tempo anormale. Ha vinto il funzionario grigio che è riuscito nel capolavoro della sua vita, la metamorfosi: l’incarnazione di un destino diverso da quello che ha vissuto nei primi cinquant’anni della sua storia. Il candidato che ha un portavoce e consigliere politico con sangue italiano, Aquilino Morelle.
I due Hollande
Ci sono due Hollande, che ci sono guardati allo specchio senza riconoscersi, in questa notte elettorale. Da un lato il gregario di partito che per vent’anni ha custodito l’eredità mitterrandiana come una reliquia, scalando i gradini dell’apparato con diligenza e mestiere. E dall’altro l’oratore trasfigurato dalla voce arrochita che domenica sera, alla Bastiglia, gridava il suo programma: “Oggi la Francia è diventata una speranza per tutta l’Europa, oggi da questa piazza torniamo a chiedere che l’Europa scelga la via della crescita!”.
Ci avevano raccontato, in questi anni, che la differenza fra destra e sinistra non esisteva più, che il “Sarkoberlusconismo” era l’unica lingua postmoderna in grado di tenere insieme il popolo e i consumi , la ricchezza e la dinamicità del mercato, le garanzie sociali e il consenso alle imprese. Ebbene, la notte della Bastiglia ha sgretolato questo luogo comune, questa suggestione giornalistica. Sarkozy ha perso anche perché nell’immaginario popolare era diventato “il presidente dei ricchi”, quello che sposa la fotomodella e se ne va in yacht con il suo amico imprenditore Vincent Bolloré.
“Il cambiamento è ora”
Mentre alla Bastiglia, in piazza a festeggiare, c’era un’altra Francia, c’erano facce che avrebbero appassionato Pierpaolo Pasolini, c’erano i ragazzi delle banlieue, il popolo delle periferie e delle province d’oltremare. C’erano i figli dei pieds-noirs, gli arabi di Francia, i francesi che ballano ritmi africani, le bandiere dei curdi e quelle arcobaleno dei gay che sognano il matrimonio e sono andati a votare perché la sinistra ha impugnato la bandiera dei Pacs. “Le changement c’est maintenant”, il cambiamento è ora, recitava lo slogan di Hollande. E lui ripeteva: “Ho fatto due scelte difficili: la proposta della patrimoniale e quella di assumere sessantamila nuovi professori nelle scuole pubbliche”. Riuscirà a mantenerle, assieme a quella – costosissima – di mandare i francesi in pensione a 60 anni?
In piazza, domenica sera, c’era quel 52% di francesi che voleva cambiare. E nei corridoi del quartier generale socialista, a rue Solferino, si aggirava festante l’ex ministro della cultura dell’era Mitterrand, Jack Lang: “I socialisti che hanno accettato pedissequamente le ricette del rigore pagano: quelli che che hanno saputo raccogliere la speranza vincono”. Sono loro, i socialisti di Hollande. Il riferimento negativo è al Pasok dei Papandreou, spazzato via nelle urne e sorpassato dalla sinistra radicale di Syriza, dopo essere stato piegato dai precetti della Banca centrale europea e del Fondo monetario. Alla Bastiglia ballano, cantano, ogni tanto sugli schermi va in onda il video più gettonato della campagna, quello con i colori fosforescenti che si alternano: “Per tutti quelli che hanno vissuto il 1981/ e ricordano il cambiamento/ per tutti quelli che non l’hanno vissuto/ e vogliono viverlo per la prima volta”.
Il presidente e l’utilitaria
Sarkozy arrivò sul palco del cambiamenti con una lussuosa berlina Citroën. Hollande a bordo di una monovolume familiare, la Mégane. Un segnale anche quello? “C’è un popolo che spera in Francia in Europa – grida lui – e grazie a noi vuole farla finita con l’austerità”. Viene in mente, mentre il neopresidente avanza con la sua bellissima e intelligente compagna (la giornalista Valerie Trierweiller) che per una volta l’assenza di carisma è stata un vantaggio. Se a correre fosse stato Dominique Strauss-Kahn, l’ex direttore del Fondo monetario internazionale che senza una cameriera di New York e uno scandalo sessuale sarebbe stato il candidato incontrastato, per lui sarebbe stato impossibile fare una campagna come quella di Hollande. Impossibile attaccare da sinistra Sarko sulle politiche economiche, impossibile sparare sulla “dittatura delle banche”, come ha fatto in questi mesi Hollande. “C’è chi tiene più al denaro che alla gente – ha gridato in un comizio – per me è esattamente il contrario”.
La crisi ha radicalizzato le alternative. Ha portato voti alla sinistra quando la sinistra ha rifiutato le politiche di rigore, e ha arricchito il bottino elettorale dell’estrema destra e dell’antipolitica quando le ha sposate. La crisi ha demolito il populismo liberale, e la sua politica di promesse, e vale per Silvio Berlusconi come per Sarkozy.
La notte della Bastiglia, quando la rivedremo nei documentari, con il suo corredo di colori e di canti, resterà (qualsiasi cosa accada) la notte in cui la direzione del vento è cambiata. Per andare dove? È questa la domanda a cui né la piccola Maristelle, né il trasfigurato Hollande sanno ancora ancora rispondere.
Il Fatto Quotidiano, 8 Maggio 2012