I partiti di maggioranza vengono puniti. Il crac del Pdl soffia sul fuoco di protesta all'interno del partito ("Non saremo complici di altri sbagli"). Monti potrebbe finire al centro di veti incrociati. Intanto però i risultati delle urne spazzano via l'ipotesi di elezioni anticipate
Hanno ammazzato Monti, Monti è vivo. La prima impressione sarebbe quella di dirla con Antonio Di Pietro: è stata sconfitta la maggioranza di governo. Ma è un po’ più complicata di così e non solo perché ieri il ministro Anna Maria Cancellieri ha subito messo un bel timbro (“La scarsa affezione era nell’aria: un problema che riguarda i partiti che ci sostengono”). Certo, il voto delle comunali fotografa un luminoso segnale tra protesta e speranza, se è vero che da una parte il Pdl ha subito un arretramento mai visto e dall’altra il Movimento 5 Stelle (opposizione extraparlamentare al governo tecnico tra le più avanzate) si è espanso come il gas.
Per seguire la traccia segnata dal leader dell’Italia dei Valori le forze di maggioranza come minimo non sono state premiate. Il Pd conferma la raccolta di adesioni sul territorio, ma paga in termini di diversi punti percentuali rispetto alle consultazioni precedenti. Il Terzo Polo, principale sponsor di Monti, a parte l’exploit di Genova (è al ballottaggio, e con un “tecnico”), non fa la differenza e arranca. Del Pdl è stato già detto molto: raccoglie metà, un terzo, in certe zone perfino un quarto dei voti degli anni scorsi.
Quanto c’entra il sostegno all’esecutivo dei prof? Secondo un pezzo da novanta come La Russa molto: “Non saremo complici di altri sbagli” manda a dire attraverso Repubblica, mentre il segretario del partito Angelino Alfano ha ribadito con decisione che non farà più vertici collettivi a Palazzo Chigi con Casini e Bersani, cosa che aveva già detto ma che dopo ieri diventa un po’ più di un annuncio. Sullo sfondo, inoltre, un tema non secondario: attualmente ci sono 252 deputati e 104 senatori in carica che ancora non hanno maturato i giorni necessari per avere diritto alla pensione da parlamentare (dati openpolis.it).
Quindi quali conseguenze per il governo? La Waterloo delle Libertà, se crea molto nervosismo e fa a dire a molti ex ministri che la colpa è dell’appoggio a Monti, è in realtà un’assicurazione sulla vita per il governo, perché se qualcuno poteva avere voglia di andare alle elezioni anticipate ad ottobre, ora appare chiaro che non sarebbe una buona idea. Non solo: il governo potrebbe al contrario acquisire maggiore forza nel momento in cui i partiti – in particolare quelli più grandi o forse ex grandi – sono stati sbalzati dai Cinque Stelle o dai candidati “della gente” (Tosi che ha vinto anche contro il Pdl, Doria che vinse le primarie contro i candidati Pd, Orlando in vantaggio sul democratico ufficiale Ferrandelli). Nel senso che Monti, con questi risultati, continua a essere indispensabile per finire il lavoro per il quale è stato chiamato, altroché elezioni.
Ma a che prezzo? E a cosa serve restare al governo se poi si rischia la paralisi? L’effetto più verosimile, difatti, è il pericolo di uno stallo, di un’immobilizzazione data dall’esito di forze uguali e contrarie che inizieranno a sforzarsi l’una contro l’altra. Le voglie di “insurrezione” all’interno del Pdl gettano in allarme il presidente del Consiglio. Da oggi, in definitiva, nulla sarà più come prima.
Il presidente del Consiglio chiede nuovi summit, soprattutto per parlare di lavoro (tra oggi e domani presentano il decreto sugli esodati, i sindacati sono già sul piede di guerra). Il problema è che la debolezza dei partiti che compongono la maggioranza renderà la tenuta del governo una questione di continui scambi e anche ricatti che non potrà durare a lungo e che Monti ha già fatto capire che sopporterà poco.
La lista delle cose da fare, d’altro canto, non è breve. La riforma del lavoro, per cominciare, che stancamente ha iniziato il suo iter al Senato: il Pd, com’è noto, non è disposto ad arretrare di un millimetro, mentre il Pdl ha già annunciato l’assalto alla baionetta per modificare il testo. La legge elettorale, poi: i risultati di domenica e lunedì suggeriscono ai leader di partito che sembravano avere pronta la modifica cucita addosso in senso proporzionale (i soliti Abc) che il sistema studiato non sarebbe l’ideale, con partiti tutti sbriciolati sotto al 25 per cento e con poli quasi in ordine sparso. Poi la rabbia per l’Imu (non solo a destra) e, anche se non pare proprio il primo dei problemi al mercato la mattina, il caos della Rai. Nel frattempo peraltro Monti ha da pensare ai movimenti tettonici della politica europea dopo il trionfo di François Hollande e le urne greche che hanno ingigantito le ali estreme ed anti-euro.
Ne viene, infine, che resta centrale la riforma dei partiti e sui rimborsi elettorali. Ma su questo fronte, la lezione di ieri non sembra essere stata ancora sufficiente: ieri Pd e Pdl hanno proposto il taglio di un terzo sulla tranche di finanziamenti da erogare ai partiti a luglio e di metà per quelle a venire. Se questa è la reazione dei partiti, Monti avrà di che preoccuparsi ancora per molto.