(Nantes) – La Place Royal oggi è semi-deserta, spazzata via da un vento gelido che fa dimenticare ai più la sbornia elettorale di sabato. Hollande 61,53%, Sarkozy 38,47%. Niente di eclatante: siamo a Nantes, fortino inespugnabile di Jean-Marc Ayrault, sindaco socialista dal 1989 e papabile futuro Primo Ministro. La Loira s’increspa placidamente, l’odore dell’Oceano arriva fino al cuore bohème di questa elegante città dell’Ovest.

Claire prepara il dessert in camicia da notte. Ha gli occhi gonfi dal sonno e la sensazione che per lei cambierà ben poco: nonostante Hollande. Si è convertita all’Islam un paio di anni fa, «avevo bisogno di certezze, di stabilità». È una delle molle che l’hanno spinta a non votare Sarkozy. Al primo turno ha votato Mélenchon, «Parce que il est trop mignon!» esclama divertita. Al secondo ha tentennato: «Volevo votare scheda bianca perché sono contro i matrimoni omosessuali», ma alla fine ha ceduto e ha optato per Hollande: «Ma in realtà la politica non mi interessa, e preferisco non parlarne». È un leit motiv che ho sentito più volte queste ultime settimane.

Nicolas è infreddolito: le mani nelle tasche di un giubbino troppo leggero, l’atteggiamento fiero. Ha passato la trentina da un pezzo, la calvizie galoppante gli disegna uno strano triangolo di capelli corvini. «Faccio il paesaggista, mi sono messo in proprio un anno fa e le cose iniziano ad andare bene. Ma bisogna lavorare, anche dodici ore al giorno se c’è bisogno». Nicolas ha un figlio di sei anni, e si dice dipendente dal sesso: ma né Hollande né Sarkozy hanno incluso questa tematica nei loro programmi. Stranezze del caso. «Sono un piccolo imprenditore, Hollande ci spremerà come degli agrumi». Non ha mai votato a sinistra e non intende cominciare ora. A guardarlo sembra di vedere la tanto declamata France Forte. Insomma, Nicolas di nome e di fatto.

Jeremy ha 26 anni, lo sguardo perso nel vuoto di troppe amarezze. Tiene la testa tra le mani ruvide, gli occhi si schiudono leggermente: «Hollande o Sarkozy? Non cambia niente, sono solo dei porci». Jeremy fa il muratore dal lunedì al giovedì, il venerdì e il sabato completa con altri lavoretti in nero. «Se no come farei a campare mia figlia?». Sua figlia ha dieci mesi e la può vedere saltuariamente, quando la madre glielo permette. Jeremy è uscito dall’ospedale psichiatrico a inizio febbraio, per rifarsi una vita. «Bisogna stare attenti, è pieno di immigrati che ci rubano il lavoro. Ma tu sei italiano, quindi va bene» mi dice, all’ombra di un sorriso rarefatto. Al primo turno? Ha votato Marine Le Pen. Domenica si è astenuto: dal votare. La bottiglia di whisky, invece, si svuota lentamente: per Jeremy è una giornata qualunque. Fuma sigarette News, pacchetto da trenta, i gomiti scivolano sul tavolino appiccicoso. «Quindi per te Sarko o Hollande non cambia niente?» gli chiedo.  «Je m’en fous» mi risponde, con distacco. Se ne frega. E come dargli torto?

Jonathan e Pacà, trentenni, sembrano usciti direttamente dagli anni Settanta. Capelli al vento, jeans bucati e scarpe polverose. Vivono in campagna, e stanno imparando a cucinare le erbe selvatiche. «Non abbiamo votato, né al primo né al secondo turno. Siamo contro questo sistema, siamo contro l’Ump e contro il Ps: è sempre la stessa solfa». Jonathan e Pacà sono indipendentisti bretoni, militanti della prima ora. Il loro obiettivo? L’annessione di Nantes e della Loire-Atlantique alla Bretagna. «Perché questa è la Bretagna storica!» declamano in coro. Post-romantici.

Piove su Nantes, niente di eclatante, e Jean-Marc ha votato Hollande: normal. Adesso aspetta, e se dovesse avere le chiavi di Matignon dovrà abbandonare il suo feudo dorato. Ma alcuni suoi concittadini già storcono il naso.

di Roberto Lapia

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