La band che oggi andiamo a conoscere è L’Officina della Camomilla e la prima cosa che c’è da sapere su di loro è che sono “pataurbani” come Alfred Jarry era patafisico. Per chi non lo sapesse, la Patafisica è “la scienza delle soluzioni immaginarie”, nata dalla mente geniale dello scrittore e drammaturgo francese Alfred Jarry. “Al giorno d’oggi – cito Wikipedia – riaffermando gli assiomi rivelati dal suo inventore, la Patafisica continua a soffermarsi, attraverso l’arte e la letteratura, sulle eccezioni che affiancano le teorie e i metodi propri alla scienza, usando espressioni che fondono in un tutt’uno il nonsenso, l’ironia e l’assurdo”. Nella biografia della band milanese è scritto: “L’Officina della Camomilla è un movimento artistico, culturale, musicale, filosofico, poetico, invernale, gastronomico, calcistico, randagio/casalingo, estremamente mattutino fondato sulla tristezza e sui biscotti. Ci buttiamo nei fiumi e dormiamo fra le capre. Poi prendiamo l’autobus e torniamo a casa. Tardi”. Fatte le dovute proporzioni, bastano queste poche righe per capire le affinità (anche nel loro esser folli) tra le correnti, grazie al loro scrivere “randomico” che disorienta e che li rende, appunto, pataurbani. Composto da 14 “canzoni da cameretta, testi che sono poemi adolescenziali e polaroid pop, arrangiamenti minimali lo-fi di chitarra acustica e tastiere giocattolo”, Fabrizio Galassi ha ascoltato per noi il loro omonimo disco d’esordio. 

Italia maledetta! Non puoi dimenticarti di come si vedeva la musica, di come le associazioni e la tristezza e il copia e incolla formavano canzoni, portandosi sempre dietro una fotocopia del freddo.
Maledetta Italia perché L’Officina della Camomilla dovrebbe essere un piccolo tesoro messo sul tetto più alto delle case musicali, per lasciarli lanciare i sassi in viso alla domenica.
Una chitarra pressoché accordata, con una mano che tenta di rovinarla; zoppata la voce, piena di vocali chiuse quando devono essere aperte e il contrario; e la erre sembra quella di quando avevi tre anni, ma tanto sei un’assassina che succhia le tette alle stelle.
Certo Piero Ciampi, sicuramente Syd Barrett e un amore casto per la dark wave degli appennini anni 80, un tacco di cha cha togliendo a turno gli strumenti fondamentali come basso e batteria, sostituita da palline di ping pong, o da quelle oscene pianole e sonaglini vari, ma tanto io della musica non me ne faccio un cazzo e ascolto solo musica orrenda.

Canzoni pop dalla forma stupenda come sirene che non vorresti mai fermare, come ciò che succede quando ascolti “Ti Porterò A Cena Sul Braccio Della Ruspa”, e non di una ruspa, ma DELLA ruspa; che ti innamori perché rotta, corrotta, sbilenca ma dotta; scritta per tutti i piromani che portano le scarpe a strappo.

Oppure ti imbarazzi danzando reggae su “Dai graffiti dei Mercati Generali” con una vocina delicata di lei che non si imbarazza, lei, di non cantare a tempo, di non fare i cori come dovrebbe, di cantare e scrivere secondo coscienza e non secondo un dogma, mentre lui chiede tenero: “Cecilia, oggi sul presto, ti va di dar fuoco alla scuola? Scatteremo polaroid pop a tutti gli studenti morti nel falò”.

Perché non “Gentilissimo Oh”? L’altra perla, sporca di nebbia e cioccolato.
Fioccano anche banalità compositive con “Charlotte” (bella per i semiseriosi cantautori romani, ma non per questi certosognanti milanesi) ed “EE Londra e Londra”, che purtroppo al posto del cuore sembra avere una calcolatrice, perché al posto del cuore ha il veleno che aveva in gola Napoleone.

La chiusa perfetta nel mondo dell’Officina della Camomilla va affidata a “Un Fiore per Coltello”, perché solo dopo tutto questo si può comprendere e accettare il pianificato scrivere randomico evitando così di raccattare sberle e manrovesci di buio e notte mentre casca giù l’inverno travestito da fiorista con il frigorifero pieno di denti di leone.

Si tenta sempre di trovare il degno successore dei grandi autori: mentre Piero Litaliano amava la bottiglia piena di versi, l’Officina della Camomilla ama la battaglia dei versi diversi (anche il vino, certo); mentre Vinicio Capossela (anche lui il vino, certo) è il Rey del cantare patafisico, l’Officina della Camomilla sono i Principles del cantare pataurbano.

 

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