Stupore. Costernazione. E molta paura. Sono i sentimenti che in queste ore percorrono il partito repubblicano, dopo la sconfitta nelle primarie dell’Indiana del senatore Richard Lugar. Non sarà come previsto Lugar a rappresentare il partito a novembre, per la conquista del seggio senatoriale dell’Indiana, bensì Richard E. Mourdock, tesoriere di stato, un politico conservatore che ha attirato la maggioranza degli elettori repubblicani. Lugar è l’ennesimo moderato a essere cancellato dalla mappa politica americana. La sua sconfitta è il segnale della forza persistente e preponderante del Tea Party a Washington e in tutti gli Stati Uniti. Da mesi è in corso sulla stampa americana un dibattito su che fine abbia fatto il Tea Party e le sue richieste di rinnovamento radicale della politica repubblicana.
La scelta per le presidenziali di novembre di un rappresentante dell’élite come Mitt Romney sembrava averne decretato un affievolimento nella capacità di influenza. I giorni delle adunate oceaniche a Washington, guidate da Glenn Beck e Sarah Palin, parevano ormai un ricordo, come un ricordo era l’energia politica che nel 2010 aveva portato decine di uomini targati Tea Party al Congresso.
Un recente studio di un professore di Harvard, Theda Skocpo, ha dimostrato che dei 1000 gruppi fondati tra 2009 e 2010 dalle organizzazioni-ombrello del movimento (Tea Party Express, Tea Party Patriots) ne sono rimasti in vita circa 600. Le previsioni di tramonto imminente si sono però scontrate con quanto successo in Indiana. Qui Richard Lugar rappresentava tutto quello che i supporter del Tea Party detestano della nomenclatura di Washington. 80 anni, al Senato dal 1976, Lugar è stata in questi anni la faccia più visibile e rispettata del repubblicano vecchio stampo, attento alla politica estera (a lui, e al democratico Sam Nunn, va il merito di aver negoziato la riduzione degli armamenti in Russia), moderato sulle questioni dell’aborto, dei gay, aperto all’immigrazione, critico delle avventure imperialistiche dei neoconservatives in Iraq e Afghanistan. Soprattutto, Lugar è stato in questi anni uno dei repubblicani più disponibili al compromesso con i democratici. Ha votato per esempio a favore di entrambe le nomine di Obama alla Corte Suprema.
Questo curriculum politico è stato l’obiettivo perfetto contro cui scagliarsi. Freedom Works, l’organizzazione sponsorizzata dal miliardario conservatore David Koch, fondamentale nella nascita di tanti Tea Parties in giro per gli Stati Uniti, ha cominciato a far affluire milioni nelle casse dell’avversario di Lugar, Richard Mourdock. La stessa cosa, in questi mesi, è stata fatta da altri gruppi. Il liberista radicale Club for Growth e la lobby delle armi, la National Rifle Association. Sotto attacco è finito il passato di moderato, e la voglia di compromesso, di Lugar, oltre al suo visibile disinteresse per l’Indiana, lo Stato in cui è stato eletto, quasi automaticamente, per 36 anni (il senatore non possiede più neppure una casa, in Indiana. Quando deve fare campagna nello Stato, dorme in albergo). Alla fine la campagna contro Lugar ha avuto effetto. Nonostante un tardivo colpo di coda del senatore (che nelle ultime settimane, annusando il rischio, si è fatto vedere in decine di comizi in giro per lo Stato), gli elettori repubblicani gli hanno preferito Mourdock, più giovane di 20 anni, amante delle motociclette e della maratona, che ha più volte espresso tutto il suo disgusto per la politica bipartisan e detto che “i due partiti a Washington sono così opposti l’uno all’altro che non c’è che una scelta: uno deve prevalere sull’altro, e ci vuole un chiaro vincitore”. Mentre dunque le truppe dei Tea Parties e dei conservatori radicali festeggiano, i big del partito a Washington riflettono sul da farsi e cercano contromisure.
E’ ormai un dato di fatto che il popolo dei Tea Parties è diventato “la nuova base repubblicana”, (secondo la definizione di una costituzionalista, Elizabeth Price Foley), che corre a votare a tutte le primarie del partito e che con il suo voto orienta la scelta dei candidati. E’ un altro dato di fatto che l’azione dei vari Tea Parties ha contribuito a far fuori dalla politica quei repubblicani più portati alla mediazione e alla moderazione. La lista dei ritirati, e dei trombati, è lunga: Lugar, e prima di lui Mike Castle, Bob Bennett, Olympia Snowe. E’ ancora un dato di fatto che i Tea Parties stanno imponendo i propri uomini nelle legislature statali e a capo dei partiti repubblicani locali. E’ successo, o sta succedendo, in South Carolina, Florida, Arizona, Minnesota, Ohio, New Hampshire. “Le cose vanno così, ora”, commenta tristemente un altro big repubblicano, il senatore del South Dakota John Thune. La leadership del partito cerca di adattarsi, e progetta, in vista delle legislative del 2014, una campagna più popolare, vicina agli elettori. Mitch McConnell, capogruppo repubblicano al Senato e rappresentante del Kentucky, ha già in banca 5 milioni di dollari per la campagna del 2014 e ha più che raddoppiato visite e presenze nel suo Stato. Così stanno facendo altri vecchi ex-intoccabili del partito – Lindsay Graham, Lamar Alexander, Pat Roberts -, costretti a mettere da parte le vecchie abitudini da aristocrazia politica e a tornare alla politica porta a porta: nelle fiere, bar e centri commerciali. La retorica del Tea Party, oltre che le abitudini dei politici di Washington, sembra però aver conquistato e trasformato proprio il discorso politico interno dei repubblicani. Come non sentire il sapore populistico e anti-statale del Tea Party in molti dei discorsi di Mitt Romney contro il “politico di carriera” Obama e il suo sogno “di trasformare gli Stati Uniti in una società di pesanti regolamentazioni all’europea?”