Obiettivo: l’Unione europea deve dimezzare gli sprechi alimentari entro il 2025. Lo scorso gennaio il Parlamento europeo ha votato una risoluzione “su come evitare lo spreco di alimenti: per migliorare l’efficienza della catena agroalimentare nell’Ue”. Stessa cosa ha fatto, nelle scorse settimane, il Parlamento italiano. Altri Parlamenti degli Stati membri si stanno attivando.
Qualche dato per capire la dimensione del “fenomeno”.
Nell’Europa a 27 la produzione annuale di rifiuti alimentari è di 89 milioni di tonnellate, 179 kg a testa. Le previsioni non sono incoraggianti: nel 2020 il totale degli sprechi alimentari aumenterà del 40%, fino a raggiungere 126 milioni di tonnellate per anno. Un’enormità, tanto più che si tratta di “rifiuti” da smaltire, con tutto quel che ne consegue, ma che in buona parte potrebbero essere ancora consumati dall’uomo.
Nel mondo non va meglio, solo che gli sprechi – 1,3 miliardi di tonnellate in un anno – si ripartiscono più a valle (consumo domestico) nei paesi sviluppati, e più a monte (agricoltura, industria di trasformazione) nei paesi più poveri. Nel primo caso è una questione di comportamento individuale: ci riempiamo di tutto e poi lo gettiamo via, tanto il cibo costa relativamente poco e pensiamo abbia poco valore. Nel secondo è un problema legato al basso livello di tecnologia e organizzazione. Sommando quanto si getta via a livello mondiale si potrebbe dar da mangiare a 3 miliardi di persone: quasi metà della popolazione mondiale, tre volte i sottonutriti contabilizzati dalla Fao.
L’Italia è in linea con queste tendenze. Si perdono quasi 20 milioni di tonnellate di cibo pari a 11 miliardi di euro: circa lo 0,7% del Pil. E con il cibo sprechiamo anche l’acqua: non soltanto quella contenuta negli alimenti, ma anche quella servita per produrli, trasformarli, trasportarli, distribuirli. Per il cibo sprecato in Italia abbiamo prosciugato il lago di Bolsena. Per non dire dell’energia utilizzata, che oltretutto sprechiamo quando dobbiamo smaltire i prodotti non consumati.
È allora imperativo ridurre gli sprechi, anzi prevenirli. Non solo perché non è etico scialacquare in tempi di crisi, ma anche perché le risorse naturali – suolo, acqua, energia, il nostro capitale naturale, quello che nessuno contabilizza – sono limitate.
Vogliamo aumentare ancora il nostro debito ecologico, sommandolo a quello economico?
E poi i rifiuti ci stanno, neppure tanto lentamente, sommergendo.
Per questo il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione l’istituzione nel 2014 dell’Anno Europeo contro lo spreco alimentare. Perché non basta recuperare ciò che si getta e donarlo a chi ha bisogno. Che sono sempre di più, se è vero che nell’Unione europea quasi 80 milioni di cittadini vivono al di sotto della soglia di povertà. O meglio: continuiamo a recuperare gli sprechi a beneficio degli indigenti, ma ben sapendo che non è così che si risolve il problema della fame e della povertà. Peraltro in grande aumento a livello mondiale, come gli sprechi. Sprechi che invece vanno ridotti, migliorando le inefficienze, diminuendo le perdite di prodotti in modo che, appunto, si liberino delle risorse per aiutare davvero gli indigenti. Dare gli avanzi dei ricchi ai poveri non è la soluzione. Rendere il sistema agroalimentare più efficiente sarà invece un vantaggio per tutti, e ognuno – istituzioni, imprese, cittadini – deve fare ogni giorno la sua parte: da subito, come propone, con delle azioni concrete, la campagna europea “Un anno contro lo spreco”. Una grade alleanza, a partire dai cittadini, contro lo spreco: lo scandalo dei nostri tempi.