Yoani Sanchez, la dissidente e famosa blogger cubana, più volte candidata al premio Nobel per la pace, anche quest’anno insieme ad Oswaldo Payá, il padre dei diritti umani Cubani, Premio Sacharov 2002 ed estensore del Progetto Varela , in un toccante articolo pubblicato dal Pais il 12 febbraio scorso, dal titolo “Sopa, Sinde e la fibra ottica” (in spagnolo) , delinea i contorni della libertà di espressione su internet e attacca gli eccessi della lotta alla violazione del diritto d’autore in rete.
Vale la pena soffermarsi attentamente sulle parole di Yoani Sanchez, che di diritti umani qualcosa deve conoscere.
“Hanno motivo di sospettare i navigatori di internet e molte ragioni per restare vigile e attivi rispetto a ciò che sta accadendo. Perché non solo il tempo per condividere musica, film e software potrebbe volgere al termine . La lotta contro la pirateria è diventata una lotta contro il Web 2.0 stesso, mettendo in questo modo in pericolo la parte più dinamica di internet. E la domanda che ci colpisce come Cubani è se Internet sia prossimo a morire prima che noi possiamo viverlo, al punto di far diventare una gabbia davanti a noi ciò che potremmo usare come un’ala”.
Il linguaggio adottato da Yoani Sanchez al di là dello specifico del diritto d’autore ricorda da vicino le affermazioni di un altro celebre dissidente cinese Liu Xiaobao, premio Nobel per la pace, che proprio al web è ricorso per sfuggire alle maglie del controllo dell’informazione attuato nel suo paese e che ha definito di recente internet come un “dono di dio” ,
La visione messianica del ruolo della rete non deve stupire: chi soffre della privazione dei diritti costituzionali sa che internet può costituire l’unico strumento per comunicare con il mondo, come le Primavere arabe hanno dimostrato, e che la chiusura dei contenuti sulla rete può dare facilmente luogo a forme di controllo autoritario sulla libera circolazione del pensiero.
E’ per questo che, anche nelle democrazie più mature come la nostra, è necessario vigilare attentamente per evitare che siano introdotte norme che, con la scusa della tutela dei contenuti, diano poi il pretesto per far diventare la Rete “ una gabbia davanti a noi, (invece di) ciò che potremmo usare come un’ala”.