Sentenza della corte di Cassazione contro la decisione del tribunale di Viterbo. In un comizio, il leader del Pdl aveva messo in dubbio la genuinità del titolo di studio dell'ex magistrato. L'insindacabilità non vale per attacchi "alla sfera personale"
Silvio Berlusconi non poteva godere dell’insindacabilità delle opinioni espresse in qualità di parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni, quando accusò Antonio Di Pietro di aver ottenuto la laurea grazie a favori dei servizi segreti. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, annullando la decisione presa dal giudice di pace di Viterbo, sul processo per diffamazione a carico del presidente del Pdl, querelato dal leader dell’Idv. L’ex premier nel corso di un comizio elettorale aveva esplicitamente attaccato l’avversario politico mettendo in dubbio il titolo di studio dell’ex magistrato e aggiungendo che Di Pietro era il “peggio del peggio” perché aveva “mandato in galera italiani senza avere prova alcuna”.
Accogliendo il ricorso della procura viterbese, sollecitata dall’ex pm di Mani pulite costituitosi parte civile, la suprema corte ha contestato al giudice di pace il riconoscimento a Berlusconi dell’insindacabilità delle opinioni espresse da parlamentare. Il giudice, sottolinea la Cassazione, aveva condiviso la decisione della Camera di evitargli il processo senza procedere ad alcuna indagine.
Ad avviso della corte, ritenere non punibile Berlusconi in quanto avrebbe agito nelle sue funzioni di parlamentare “trascura di considerare che quelle frasi sono state pronunciate dall’ex premier in un comizio, il 26 marzo 2008, al di fuori dalle aule parlamentari dunque, e non facevano, inoltre, riferimento ad attività svolta in sede istituzionale”.
In proposito, i supremi giudici rilevano che “da un lato l’opinione su Di Pietro era stata espressa da Berlusconi in un comizio elettorale, sede di per sè estranea all’esercizio delle funzioni parlamentari, dall’altro le espressioni utilizzate non riguardavano la figura di uomo politico dell’antagonista, ma attingevano la sua sfera personale e professionale”. Per queste ragioni, conclude la Cassazione, la sentenza di non punibilità emessa il cinque ottobre 2010 dal giudice di Viterbo, merita di essere annullata con rinvio per nuovo esame.