Sono “figure femminili che raccontano la perdita di umanità e denunciano la difficoltà del vivere moderno” quelle rappresentate dall’artista e filmmaker Marco Bolognesi per Humanescape, esposizione che sarà ospitata a Reggio Emilia dall’11 maggio al 24 giugno all’interno del festival Fotografia Europea 2012, quest’anno dedicato al tema “Vita comune, immagini per la cittadinanza”. Allestita presso la Galleria Parmeggiani-Interno 1 di corso Cairoli, la mostra costituisce un tassello ulteriore del “Bomar universe”, ambientazione in chiave per lo più cyberpunk che nel percorso dell’autore costituisce una forma di critica sociale al reale.
E a questo proposito commenta l’artista bolognese, nel suo curriculum vede anche la graphic novel Protocollo scritta con Carlo Lucarelli: “Avevo bisogno di evidenziare il rischio della perdita di umanità: tutti i dettagli e le imperfezioni della tipicità umana si annullano in queste figure bianchissime, senza capelli, con le espressioni a volte rassegnate, a volte combattenti. Ecco l’apologia dell’individuo, che combatte, si aggrappa e, sfinito, si arrende nell’atto di rivendicare i propri diritti. Il proprio voler essere parte importante del mondo e il suo sentirsi escluso. Il vedere ciò che non si dovrebbe vedere senza poterlo cambiare”.
Tradotto in arti figurative, questi concetti si concretizzano nelle immagini, realizzate con la tecnica del collage, e nel video che compongono un più ampio Humanscape presentato da Marco Bolognesi nella mostra curata da Walter Guadagnini. Il doppio richiamo – quello al cyberpunk e alla condizione femminile come emblema delle difficoltà contemporanea – è racchiuso anche nei testi che accompagnano la parte visiva dell’esposizione. Testi che recano la firma di due nomi di rilievo nei rispettivi settori.
Il primo è quello dello scrittore texano Bruce Sterling, firma di Wired, XL e La Stampa e autore di titoli cardine della fantascienza come “La matrice spezzata”, “Isole nella rete” e “La macchina della realtà”, quest’ultimo scritto con un altro mostro sacro del genere, William Gibson. Il secondo è quello di sua moglie, Jasmina Tesanovic, giornalista, scrittrice e attivista serba che è stata una delle anime del movimento “Donne in nero” di Belgrado e che nelle sue varie vesti ha raccontato il cosiddetto “processo agli Scorpioni”, dal nome del gruppo paramilitare che si rese responsabile dell’eccidio di Srebrenica del 1995.
Tutto questo materiale confluisce anche in un libro che si chiama come l’esposizione e che contiene un’intervista all’artista realizzata dalla critica Anita Tania Giuga. Aggiunge il curatore Guadagnini con un proprio testo: “Marco Bolognesi fotografa, e in maniera ossessiva, i suoi personaggi, le sue scene, i suoi pupazzetti e le sue biglie colorate, ma al termine del processo di costruzione ed elaborazione dell’immagine nasce un oggetto la cui natura fotografica si è irrimediabilmente mischiata con quella performativa, cinematografica, pittorica, sottese sin dall’origine alla creazione di questo universo”.