Lo Stato italiano dovrà pagare 50 milioni di euro alle imprese che costruirono Punta Perotti a Bari. Lo ha deciso questa mattina, chiudendo una questione che va avanti da ormai undici anni, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Organo che già tre anni fa aveva giudicato illegittima la confisca delle aree decisa dalla Corte di Cassazione nel 2001 ai danni delle famiglie Matarrese, Andidero e Quistelli, titolari delle lottizzazioni.

La sentenza che ordinava la confisca, secondo i giudici di Strasburgo aditi subito dopo la decisione della suprema corte nazionale, violava il diritto di proprietà in capo alle imprese costruttrici in quanto, pur stabilendo che i permessi di costruire fossero illegali, assolse i costruttori imputati nel processo.

La Corte di Strasburgo, che vigila sul rispetto della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali da parte degli stati del Consiglio d’Europa, aveva però nel 2009 ritenuto ancora prematuro quantificare il risarcimento dovuto alle imprese Sud Fondi, Mabar e Iema, invitando il Governo italiano a cercare un accordo con le stesse sulla cifra da corrispondere. Le trattative sono culminate con un nulla di fatto, così da indurre i giudici di Strasburgo a decidere sulla somma di poco meno di 50 milioni, ridimensionando di parecchio le aspettative delle imprese ricorrenti.

Con la confisca delle aree – sostenevano i giudici tre anni fa – è stato violato oltre all’articolo 1 del Protocollo addizionale, intitolato “Protezione della proprietà”, anche l’articolo 7 della Convenzione, il quale stabilisce che “nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale”.

Insomma, la Cassazione che pure aveva definito illegali i permessi di costruire, aveva assolto i vertici delle imprese perchè avevano commesso un errore “inevitabile e scusabile” in quanto le norme violate erano “oscure e mal formulate”. La mancata condanna degli imprenditori, quindi, faceva venir meno i presupposti per la confisca avvenuta nel 2001, cui fece seguito il trasferimento della proprietà delle aree a favore del Comune di Bari.

Fu proprio la giunta guidata da Michele Emiliano a disporne la demolizione, applicando una legge del 2004 che diffidava il Comune a provvedere all’abbattimento. Dopo quel famosissimo giorno dell’aprile 2006, in cui l’ecomostro costruito a pochi passi dal mare è stato buttato giù in diretta televisiva, su quelle aree è sorto un parco cittadino, ricco di verde e frequentato ogni giorno da bambini, anziani e sportivi. Risultato fortemente ostentato da Emiliano nella campagna elettorale per le elezioni del 2009, che lo confermarono sulla poltrona di primo cittadino.

Da novembre 2010 la proprietà delle aree è tornata alle imprese costruttrici, motivo per cui è ancora tutto da definire il destino del parco sorto sulle ceneri della “saracinesca”, viste anche le intenzioni, manifestate alla stampa locale da parte dei costruttori, di tornare ad edificare seppur a seguito di un confronto con l’amministrazione comunale.

Il sindaco Emiliano ha accolto con favore la sentenza della Cedu, in quanto “riporta giustizia ed equità – si legge su un comunicato diffuso dal Comune – riconoscendo che il Comune di Bari non deve alcun risarcimento a nessuno”. Il primo cittadino ha infatti sottolineato che oggetto della decisione non è la demolizione, avvenuta appunto in rispetto della legge nazionale, bensì la confisca decisa dalla Cassazione.

Oltre alla quantificazione del risarcimento e al riconoscimento della proprietà dei suoli edificabili in capo alle aziende costruttrici, la Cedu questa mattina ha anche ordinato allo Stato di astenersi dal domandare ai ricorrenti di rimborsare i costi della demolizione degli immobili e i costi per la riqualificazione dei terreni e di non dare seguito alle domande per danni nei confronti di Sud Fondi nella procedura civile davanti al tribunale di Bari.

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