La guerra tra i cartelli della droga - e tra questi e le forze dell’ordine, esercito incluso - dal 2006 ha causato in Messico oltre 50 mila morti. In questo clima, il paese si avvia alle elezioni presidenziali fissate per il primo luglio
Una telefonata anonima ha avvisato la polizia di Guadalajara, Messico, stato di Jalisco. Gli agenti hanno seguito la segnalazione che li ha portati ai resti di alcune auto, sulla strada tra Guadalajara, seconda città del paese, e la città di Chapala, 45 chilometri a sud, sulle rive del lago omonimo: una zona piena di turisti e con una nutrita comunità di “gringos”, statunitensi e canadesi, stabilitisi lì da molto tempo.
Nelle auto, gli esperti della polizia, hanno trovato i resti di almeno diciotto cadaveri, così orribilmente mutilati che, secondo quanto scrive la stampa messicana, non è stato ancora possibile stabilire quanti uomini e quante donne. Come spesso accade nella macabra guerra dell’orrore che si combatte tra i cartelli dei narcos, assieme ai corpi c’era un messaggio. Coronado Olmos, procuratore generale dello stato di Jalisco, ha detto che il messaggio diceva che la nuova strage «è la conseguenza dei fatti di Tamaulipas».
I “fatti” sono quelli di venerdì scorso, quando nella città di Tamaulipas, nello stato del Nuevo Laredo, vicino al confine con gli Stati Uniti, la polizia ha trovato ventitré cadaveri: quattordici erano stati decapitati e nove lasciati penzolare impiccati a un ponte. Le autorità dei due stati non hanno dubbi sulla matrice dei due massacri. La guerra tra i cartelli della droga – e tra questi e le forze dell’ordine, esercito incluso – che dal 2006 ha causato in Messico oltre 50 mila morti, secondo le stime correnti. Sessanta nell’ultima settimana. Guadalajara, peraltro, non è nuova a simili ritrovamenti. Nel novembre del 2011, sono stati trovati i cadaveri di ventisei persone, sparpagliati in tre diverse automobili abbandonate.
Sia lo stato del Nuevo Laredo che quello di Jalisco, infatti, sarebbero terreno di scontro tra le principali fazioni dei narcos, in particolare il cartello degli Zetas e la cosiddetta Federazione di Sinaloa, che per le autorità messicane è guidata da Joaquin Guzman, detto El Chapo, al momento in cima alla lista dei ricercati più pericolosi del Messico.
L’escalation militare della lotta ai narcos, decisa dal presidente in carica Felipe Calderòn, non ha minimamente portato i risultati sperati e il governo federale continua ad annunciare nuovi spiegamenti di truppe e di polizia. L’ultimo, mercoledì, ha riguardato lo stato di Morelos, dove, secondo il ministro dell’interno Alejandro Poire, le attività criminali sono cresciute in modo preoccupante, specialmente attorno alla città di Cuernavaca, altra popolare destinazione turistica.
Secondo le stime di Stratfor, un’azienda di analisi strategica statunitense che ha un “ramo” che si occupa della violenza legata alla guerra tra i narcos, gli Zetas, nati negli novanta da un gruppo di ex-commandos dell’esercito messicano – sono ormai diventati il primo cartello della droga in oltre metà degli stati messicani, con ramificazioni anche verso altri stati dell’America centrale, oltre che efficaci connessioni internazionali, tra gli altri, con la ‘ndrangheta calabrese.
In questo clima, il Messico si avvia alle elezioni presidenziali, fissate per il primo luglio. Secondo l’Istituto elettorale, l’influenza della criminalità si somma alle antiche e consolidate pratiche di cooptazione del voto e di corruzione politica. In tutto il paese, stando alle stime dell’Istituto, il 14 per cento dei seggi merita “attenzione speciale” da parte delle autorità e il 6 per cento (circa 4 mila sezioni) è ad “alto rischio”. Tra poco meno di due mesi 80 milioni di elettori messicani, su 113 milioni di cittadini, dovranno scegliere il successore di Calderón, del partito conservatore Acción Nacional (Pri), al governo dal 2006. In ballo ci sono anche 500 seggi alla camera federale e 128 al senato, nonché il posto di governatore in sei stati e la poltrona di sindaco a Città del Messico.
Nei sondaggi, è favorito Enrique Peña Nieto, del Partito rivoluzionario istituzionale (Pri) che ha governato il Messico per oltre 70 anni, dal 1929 al 2000, quando ha ceduto la presidenza al Pan. Il partito del presidente uscente ha scelto di candidare una donna, per la prima volta nella storia messicana, Josefina Vázquez Mota, data attorno al 30 per cento, mentre il candidato del cartello di sinistra Movimento Progressista, Andres Manuel Lopez Obrador è staccato di circa 7 punti percentuali, anche se in recupero. Nessuno dei partiti principali avrà la maggioranza assoluta e quindi un governo di coalizione è più che probabile. Potrebbe essere, salvo sorprese, un governo conservatore che difficilmente cambierà politica sulla guerra alla droga, nonostante gli evidenti fallimenti e il fatto che anche la candidata del Pan abbia cercato di smarcarsi dalla politica muscolare del suo predecessore e compagno di partito.
Joseph Zarlingo