Non contento Sadegh, ha stretto questa variopinta umanità nella trama e l’ordito di un tappeto persiano, forse per rappresentare metaforicamente la struttura del tessuto sociale, azzardo tra me.
Insomma ragazzi mi sento parte di un foto tappeto d’artista.
“Anna sei in trance?” mi scuote Yuval Avital,” Ti ho detto che il Mia quest’anno è imperdibile! Sai, penso che in un momento socialmente così difficile solo l’arte può unirci e scaldare l’anima.” Lo guardo Yuval, così giovane e pieno di talento.
Mi muovo tra la folla che brulica nei 268 spazi espositivi del Superstudio in via Tortona a Milano per la giornata conclusiva del Mia, Milan Image Art Fair. Le opere degli artisti che quest’anno rappresentano 26 paesi del mondo coprono ogni parete.
Cos’è per voi la fotografia ragazzi?
Per me è il furto di un attimo, la cattura di un emozione. Forse anche una sorta di memoria dello sguardo.
Passo in rassegna le immagini con attenzione. Il lavoro di elaborazione è prepotente.
Elliot Erwitt, un californiano ha usato una stampa alla gelatina d’argento. Gabor Arion Kudasz ha preferito quella pigmentata su carta d’archivio.
Se la mia amica Marinetta Saglio, fotografa della vecchia scuola (quella della Pentax), fosse qui urlerebbe alla “mistificazione”. Lei sostiene che il digitale è puro inganno. Quindi figuratevi!
Uno scorcio di New York mi chiama a una parete. Il volto di un nero dipinto in murales occupa buona parte dell’opera. Accanto all’uomo una scena di ordinaria umanità.
Stringo gli occhi per leggere il titolo: “Behind the corner”. L’artista è italiano; Marco Betocchi.
C’è forza in questa immagine. Una mescolanza di volgarità e involontaria eleganza, quello che spesso le scene di vita americana ci raccontano.
“Amo il senso di provvisorietà e opportunità che l’America mi comunica..!”. L’artista è alle mie spalle e sta parlando a una signora incappellata. “ Trovo stimolante il fatto che se tornassi tra qualche mese nello stesso luogo potrei non riconoscerlo più.”
Come la nostra vita ragazzi che è tutta un divenire….!